venerdì 9 dicembre 2011

Papa Pio XI: il fascismo «illecito» ai cattolici

Quel giorno che Pio XI pronunciò la condanna formale del fascismo. Avvenne nel concistoro segreto del 23 luglio 1931, nel pieno dello scontro col regime sull’Azione Cattolica. Il 29 maggio c’era stata la chiusura dei circoli, che aveva indotto il Papa a promulgare l’enciclica Non abbiamo bisogno in cui parlava esplicitamente di «statolatria pagana».

Ma il Direttorio del partito invece di indietreggiare aveva assunto, il 9 luglio, un’ulteriore iniziativa sancendo l’incompatibilità fra iscrizione al fascismo e all’Azione Cattolica. Il Papa rivolto ai 22 cardinali presenti (dei 25 residenti a Roma) dichiarò a sua volta «non compatibili con la coscienza e la professione di cattolici» quei «principii contrarii alle dottrine e ai diritti della Chiesa» e «illecita la volontaria ascrizione ad associazioni e opere che tali principii hanno» e «limitano alla Chiesa il diritto di educare ossia l’Azione Cattolica». Un discorso "riservatissimo" di 13 pagine che ora l’Archivio segreto vaticano porta alla luce con una ricerca condotta da Giovanni Coco per l’Archivio di Storia pontificia della Gregoriana.

La catalogazione dell’archivio del nunzio apostolico Borgoncini Duca (oggetto di una recente pubblicazione dell’Istituto di Studi politici San Pio V) e degli appunti dell’allora segretario di Stato cardinale Pacelli, custoditi presso la Congregazione degli Affari ecclesiastici della Segreteria di Stato, si rivela una miniera. Si riesce anche a ricostruire il dibattito che in quel concistoro si registrò fra i cardinali, ancora combattuti sull’attuazione se non sulla stessa opportunità del Concordato.

Voci pubblicate dai giornali, influenzate dal regime ma purtroppo non prive di fondamento, parlavano anche a più riprese delle dimissioni di Pacelli da segretario di Stato facendo riferimento proprio a divisioni sullo scontro per l’Azione cattolica. Il Papa l’aveva voluto al posto del cardinale Gasparri, artefice principale del Concordato, anche per favorire un maggiore coinvolgimento della Curia che lamentava, con diverse sfumature, una sostanziale estromissione. Il Concistoro del 23 luglio fu un’idea anche di Pacelli.

Si riunì alle 9 e durò circa tre ore. Il Papa difese la scelta di un’enciclica a sostegno dell’Azione Cattolica, volta a originare «la pronta e imponente partecipazione dell’episcopato e dell’universo mondo cattolico al cordoglio e all’offesa del Sommo Pontefice», che l’aveva definita «pupilla degli occhi del Papa» e aveva dato via libera al Concordato anche per quell’articolo 43 che ne riconosceva il ruolo. E ora gli consentiva, dopo aver ribaltato contro il regime le accuse di massoneria nella Chiesa, di poter parlare con i cardinali del Sacro Collegio di «atteggiamento ingiusto e illegale».

Nel concistoro, annota Coco, si registrò la posizione intransigente del solo cardinale Cerretti, mentre Serafini e Rossi pure favorevoli alla rottura col regime, non si opponevano a diverse decisioni. Quella riunione segreta, preparata da una rete di colloqui coi singoli cardinali, si rivelò un capolavoro diplomatico e insieme pastorale di papa Ratti. Ricompattato il Sacro Collegio su una posizione di mediazione (rottura solo minacciata, non promulgata), la mattina dopo, il 24 luglio, ordinò al segretario di Stato Pacelli di convocare padre Pietro Tacchi Venturi e, alla presenza dello stesso Pacelli che prendeva nota, dettò al gesuita il testo del suo messaggio a Mussolini.

Lo si desume dalla successiva confidenza di Pio XI a monsignor Ermenegildo Pellegrinetti: il papa ordinò a Tacchi Venturi di «informare» Mussolini del contenuto dell’«allocuzione ai cardinali», ossia la condanna del fascismo e «probabilmente – sostiene Coco – gli diede anche copia del discorso. La sera stessa (alle 19.30), il Duce ricevette Tacchi-Venturi a Palazzo Venezia. Il gesuita lesse il messaggio e Mussolini sembrò «come percosso da inaspettato funestissimo annunzio e in sembianze e parole d’uomo addolorato all’apprensione di un estremo male imminente, prese a dare sfogo ai profondi svariati sensi che la minacciata condanna papale gli aveva suscitato nell’animo esterrefatto», leggendolo come «una vera e propria dichiarazione di guerra».

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