mercoledì 29 febbraio 2012

1 marzo almanacco e meteo

PREVISIONI METEO - Giovedì 1 marzo 2012 - Le previsioni meteo per il 1° marzo danno tempo soleggiato ovunque, con temperature molto miti e clima primaverile. Da segnalare solo locali nebbie o foschie mattutine su Valpadana e Toscana. Vediamo nel dettaglio le previsioni meteo suddivise per zona geografica.

Previsioni meteo Nord: Le previsioni meteo danno tempo bello e soleggiato su tutti i settori, salvo locali nebbie o foschie mattutine in pianura, tra est Piemonte, Lombardia e basso Veneto. Temperature più o meno stazionarie, con massime tra 15° e 17° in pianura.

Previsioni meteo Centro: Stando alle previsioni meteo, ci sarà una bella giornata di sole ovunque, salvo qualche nebbia mattutina sulla Toscana. Temperature stazionarie, con massime tra 13° e 18° in pianura.

Previsioni meteo Sud e Isole: Le previsioni meteo danno sole e bel tempo ovunque, salvo una parziale nuvolosità e qualche addensamento sui rilievi calabresi e su est Sicilia e qualche foschia mattutina sul sud della Sardegna. Temperature in lieve aumento, con massime tra 15° e 18° in pianura. giovedì 1 marzo 2012, il sole sorgerà (a Roma *) alle ore 6 e 45 minuti e tramonterà alle ore 17 e 59 minuti 

Nati
Sandro Botticelli (1445)
Chopin (1810)
Glenn Miller (1904)
e morti...
Girolamo Frescobaldi (1643)
Jacobus Henricus van 't Hoff (1911)
Gabriele D'Annunzio (1938)

In questo giorno accadde...
375 a.C. - Fondazione del tempio di Giunone Lucina sull'Esquilino, a Roma, dove si celebravano i Matronalia.
1941 - Seconda guerra mondiale: la Bulgaria firma il Patto Tripartito, entrando così tra le Potenze dell'Asse.
1947 - Il Fondo Monetario Internazionale inizia le sue operazioni finanziarie.
1966 - La sonda spaziale sovietica Venera 3 si schianta su Venere, diventando il primo veicolo ad atterrare sulla superficie di un altro pianeta.

Oggi ricorre: la Chiesa anglicana e la Chiesa luterana celebrano la memoria di san George Herbert; la Chiesa cattolica celebra la memoria di san Felice III papa e sant'Albino di Vercelli; la Chiesa ortodossa quella di sant'Eudocia; la Religione romana festeggia Giunone Lucina con le Matronalia.

Crisi sale cinematografiche? L'esempio ungherese

La diffusione dei multisala ha costretto in questi anni alla chiusura la maggior parte dei piccoli cinema europei. In Ungheria, solo negli ultimi mesi, oltre 10 sale minori hanno abbassato la saracinesca per sempre, suscitando la reazione dell'Hungarian National Film Fund (MNF), che ha istituito un fondo di emergenza per assicurare la distribuzione dei film d'essai. Che sia un esempio da seguire anche in Italia?

Noi cattolici al tempo di Monti (ovvero cestinare Todi)

Appena fu dato l’incarico a Monti io, da queste colonne, gli detti fiducia. Non avevo pregiudizi. Ma mi ricredetti quasi subito. E avvertii che per molti la luna di miele con i “tecnici”  sarebbe diventata una luna di fiele (come già mostrano i fischi a Napolitano).
In effetti a cento giorni dalla sua nascita tutti i sostenitori del governo (a partire da PD e PDL) si accorgono di aver ottenuto l’opposto esatto di quanto avevano sempre voluto o promesso agli italiani.
Comincio dai cattolici che si fecero usare, col convegno di Todi, per instaurare il nuovo potere: ora si beccano la reintroduzione dell’Imu, forse perfino per asili e scuole (“è il tracollo dell’istruzione cattolica”, dicono i salesiani).
Eppure il giornale della Cei, “Avvenire”, che è stato il più entusiasta nel sostenere Monti, aveva sempre negato che vi fossero motivi per rivedere le norme (la Chiesa già pagava dove non c’erano attività di culto o assistenziali).
Adesso il governo allarga i casi di tassazione con la scusa di dover eliminare gli “aiuti di stato”. L’asilo parrocchiale deve pagare l’Imu altrimenti è aiuto di stato.
Però non sono ritenuti “aiuto di stato” quelli di cui hanno scritto Alesina e Giavazzi, “i circa 30 miliardi di sussidi pubblici alle imprese” (Corriere della sera, 11 dicembre 2011).
Perché – chiedono i due economisti – tutti quei miliardi “sono intoccabili” e nessuno ne parla?
Ancor più curiosa è stata, venerdì 24 febbraio, la nota furbesca della Presidenza del Consiglio con cui si annunciava che le maggiori entrate dall’Imu della Chiesa sarebbero state destinate ad alleggerire la pressione fiscale. Promessa odiosetta perché alimenta lo sciocco sospetto che se siamo tartassati è colpa della Chiesa.
La trovata serviva a coprire la vera notizia di quelle ore: infatti il governo si stava rimangiando la promessa di abbassare le tasse col gettito recuperato dalla lotta all’evasione. Quindi per la Chiesa c’è un doppio danno e la beffa.
Ma a parte l’Imu e le scuole cattoliche c’è molto altro nelle politiche di questo governo che va contro i cattolici. C’è il bombardamento delle famiglie (con la reintroduzione dell’Imu sulla prima casa, l’aumento di Iva, affitti, tasse e benzina) e c’è l’insensibilità verso gli ultimi e la solidarietà dimostrata fra l’altro dalla cancellazione dell’Agenzia per il terzo settore, dall’inserimento delle donazioni alle onlus nel redditometro e dalla politica verso i disabili (lo slogan della loro manifestazione del 21 febbraio era: “no allo sterminio dei nostri diritti”).
La scure che si abbatte sulla solidarietà e l’assistenza ai più poveri e bisognosi, lascia invece indisturbato, in gran parte, l’enorme spreco dell’acquisto dei cacciabombardieri F35 a cui la Chiesa è contraria.
Il bilancio insomma per i cattolici è disastroso. Oltretutto per loro, che si fecero usare a Todi come  liquidatori del governo di centrodestra, è finito il dialogo privilegiato con quest’area sui temi eticamente sensibili: ne sono un segno il blocco della legge sulle dat e il varo alla Camera del divorzio breve.
E già, certe dichiarazioni ministeriali sui cosiddetti “diritti civili”, hanno fatto suonare un campanello di allarme sui media cattolici.
Anche il Pd è rimasto “fregato” dal governo Monti. Per anni – in odio a Berlusconi – hanno invocato “una destra normale, europea, moderna”.
Eccoli accontentati: una vera destra moderna, di banchieri e tecnocrati che se ne infischiano sia degli elettori che dei lavoratori e dei sindacati, che spazzano via le “intoccabili” pensioni di anzianità, alzano l’età della pensione e diminuiscono i soldi.
Tecnocrati che vogliono spazzar via il “sacro” articolo 18 sui licenziamenti e perfino sostituire la cassa integrazione straordinaria con un temporaneo sussidio di disoccupazione.
Bastava uno solo di questi provvedimenti, fino a ottobre, per scatenare la rivolta di piazza. E oggi la sinistra non solo deve digerirli, ma perfino votarli e applaudirli. Con un governo che irride la speranza del posto fisso dei giovani precari.
Addirittura Draghi – uno dei sostenitori, con Napolitano, del governo Monti – annuncia trionfante la morte del “modello sociale europeo”. Ecco “la destra” che volevano.
E’ arrivata e sta spazzando via il famoso “stato sociale”, con trent’anni di conquiste sociali. Grazie ai voti del centrosinistra.
Dieci anni fa gli apprendisti stregoni – dagli Usa all’Europa – spalancarono le porte del commercio mondiale alla Cina, fregandosene della concorrenza sleale di quel sistema semischiavistico: dicevano che così avrebbero “occidentalizzato” la Cina, invece hanno “cinesizzato” l’Occidente e ora tutti rischiamo di diventare sudditi senza diritti.
Stessa sorte del Pd è toccata al Pdl. Il centrodestra da sempre si è identificato con una precisa mission politica: meno tasse per tutti e meno stato, meno dirigismo, meno leggi e burocrazie asfissianti (ovvero più libertà).
Bene. Stanno dandoci l’esatto opposto.
Stiamo diventando il popolo più tartassato d’Europa e stiamo diventando così sudditi che non solo il popolo ha perso la sovranità (elettorale e politica), ma è ormai in libertà vigilata perfino quando va a prelevare i suoi risparmi dal proprio conto corrente, dovendo giustificare allo stato poliziesco come intende spenderli.
E non si venga a dire che questo serve a combattere l’evasione, perché è una balla ridicola. Non serve che a vessare. Se davvero volessero eliminare di colpo l’evasione fiscale – abbassando per tutti le tasse – basterebbe rendere detraibile per tutti l’Iva per ciascun acquisto.
Perfino le cosiddette liberalizzazioni – come ha dimostrato Piero Ostellino – sono il contrario esatto: un caso di dirigismo. E – a proposito di sistema liberaldemocratico – con un premier che frequenta più le Borse che le Camere ormai il Parlamento pare ridotto a un orpello inutile, tanto che Napolitano può intimargli di smetterla con gli emendamenti. Votino e zitti.
Perfino “Repubblica” sta suonando l’allarme. Ieri è stata pubblicata un’intervista a Zagrebelsky che arriva a preoccuparsi per la nostra perdita di sovranità nazionale. Era ora.
Ormai qualunque organizzazione internazionale pretende di dare ordini all’Italia: l’ultima arrivata è l’Ocse, dopo che l’hanno fatto la Bce, il Fmi, la Bundesbank, Obama, la Merkel, Sarkozy e i famosi mercati.
Si dirà che però nel 2013 avremo il pareggio di bilancio. In realtà il 70 per cento dei provvedimenti che portano a questo risultato è dovuto alle stangate del precedente governo.
Inoltre conseguiamo questo risultato a prezzo di una dura recessione (col Pil a – 1 per cento), di una disoccupazione che cresce, di tre declassamenti (da parte delle famose agenzie di rating) e di un aumento generale della povertà.
Da professori che si presentavano come sapientoni ci aspettavamo che finalmente costituissero la tanto studiata società per mettere a reddito l’enorme patrimonio immobiliare pubblico (anche se – come dice oscar Giannino – la cosa non farebbe piacere alle banche).
E’ quella la chiave per abbattere il debito pubblico, le tasse e rilanciare la crescita. Ma non si è visto niente del genere.
Solo aumento delle tasse, della benzina e dell’Iva, con la diminuzione di stipendi, assistenza e pensioni: il solito, eterno, insopportabile tartassamento del cittadino che vorrebbero pure di “rieducare” col ditino alzato.
Come nella ex Germania comunista è al potere una casta che pretende di cambiare il popolo, invece di avere un popolo sovrano cui si riconosce il diritto di cambiare chi comanda e le sue politiche.
In Italia oggi gli unici soddisfatti sono i banchieri. La gente si rassegna a subire Monti solo perché i partiti sarebbero perfino peggio. Non si parli dunque di consenso: è disperazione.
Naturalmente Monti ha fatto pure qualcosa di buono: ha bocciato le Olimpiadi. Ma per questo non era necessario sospendere la vita democratica e fare un governo di scienziati, bastava il buon senso di mia nonna.

Antonio Socci

Da “Libero”, 26 febbraio 2012

Calcio. Francia. Presentata nuova maglia per gli Europei


                Ecco a voi in anteprima la nuova maglietta della Francia per gli europei di calcio.........

Disastro nucleare di Fukushima. Bilancio (quasi) un anno dopo

Non è stato solo un disastro naturale a causare l'incidente alla centrale di Fukushima Daiichi, ma piuttosto il fallimento del governo, delle agenzie di controllo e dell’industria nucleare giapponese. Questa una delle conclusioni del rapporto “Fukushima, un anno dopo” presentato da Greenpeace International a quasi un anno dal disastro.

Non è stato semplicemente un disastro naturale a causare il tragico incidente alla centrale di Fukushima Daiichi, ma piuttosto il fallimento del governo, delle agenzie di controllo e dell’industria nucleare giapponese. Questa la conclusione principale del rapporto “Fukushima, un anno dopo”  presentato da Greenpeace International a quasi un anno dal disastro. Si è trattato di un disastro causato dall’uomo che potrebbe ripetersi in ciascuno degli impianti nucleari del pianeta, mettendo a rischio milioni di persone.
Una sintesi del rapporto in italiano è consultabile qui: www.greenpeace.org/italy/it/campagne/nucleare/Fukushima-un-anno-dopo/
«Anche se fu innescato tecnicamente dal terremoto e dallo tsunami dello scorso 11 marzo, il disastro di Fukushima è stato causato dal fatto che le autorità giapponesi hanno deciso di ignorare i rischi del nucleare e di dare priorità agli interessi economici piuttosto che alla sicurezza – ha dichiarato Jan Van de Putte, esperto di sicurezza nucleare di Greenpeace International. – Questo rapporto dimostra che il nucleare è intrinsecamente insicuro e che i governi autorizzano la costruzione di centrali nucleari senza avere le capacità di fronteggiare i problemi che possono derivarne nell’interesse della sicurezza dei cittadini. Tutto questo non è cambiato dal disastro di Fukushima, e per questo milioni di persone continuano ad essere esposte al rischio nucleare, in tutto il mondo.»
Il rapporto che Greenpeace International ha commissionato ad un gruppo di esperti indipendenti, giunge a tre conclusioni principali:
1.  le autorità giapponesi e gli operatori dell’impianto di Fukushima hanno agito sulla base di assunzioni assolutamente errate sulle probabilità di un incidente grave: i rischi erano noti ma minimizzati e ignorati;
2. sebbene il Giappone sia considerato uno dei Paesi meglio preparati al mondo per fronteggiare disastri di grande entità, nella realtà dei fatti questo disastro si è dimostrato peggiore, nelle sue conseguenze, di ogni ipotesi pianificata: i piani di emergenza nucleare e di evacuazione non sono riusciti a proteggere adeguatamente le persone;
3. centinaia di migliaia di persone hanno sofferto le conseguenze dell’evacuazione forzata per evitare l’esposizione alle radiazioni. Queste persone non possono rifarsi una vita perché non hanno ancora ottenuto indennizzi. Il Giappone è uno dei tre soli Paesi al mondo che, per legge, considera un operatore di impianto nucleare (TEPCO, in questo caso) interamente responsabile dei danni causati da un disastro nucleare ma, evidentemente, i meccanismi di riconoscimento della responsabilità del danno e della successiva erogazione degli indennizzi alle vittime non funzionano. A un anno dal disastro le persone colpite sono sostanzialmente abbandonate a sé stesse e, alla fine, saranno i contribuenti giapponesi, e non TEPCO, a pagare la maggior parte dei danni.
«Questo disastro era prevedibile, ma è accaduto a causa della vecchia consuetudine di ammorbidire le regole che, non solo in Giappone, tutelano i profitti a danno della sicurezza delle persone – ha detto Kazue Suzuki di Greenpeace Giappone. – Non a caso le autorità giapponesi stanno facendo pressione per far ripartire i reattori nucleari come se il disastro di Fukushima non fosse mai avvenuto: così i cittadini dovranno pagare un’altra volta per gli errori del proprio governo.»
«Non è possibile obbligare le persone a convivere col mito della sicurezza nucleare e in attesa del prossimo disastro – ha aggiunto Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia. – L’energia nucleare deve essere progressivamente abbandonata – come sta già facendo la Germania - e rimpiazzata da investimenti intelligenti in efficienza energetica e fonti rinnovabili.»
Greenpeace chiede al Governo del Giappone di non riavviare i suoi impianti nucleari e di favorire piuttosto lo sviluppo di efficienza energetica e energie rinnovabili per creare migliaia di posti di lavoro, migliorare l’indipendenza energetica del Paese riducendo le emissioni di gas serra, con la garanzia che nessuno dovrà soffrire di nuovo per il fallout di un prevedibile disastro nucleare. Greenpeace  chiede anche la progressiva chiusura di tutti gli impianti nucleari nel mondo entro il 2035.


                                                                 11 Marzo 2011


 Giornalisti dell'Ansa sono entrati nella centrale nucleare. Ecco ciò che hanno visto!


Redazione Cadoinpiedi.it
I giornalisti dell'Ansa sono entrati nella centrale nucleare. Ecco ciò che hanno visto
''La situazione è molto diversa rispetto a un anno fa, ora è piuttosto stabile''. E' il commento riassuntivo di Takeshi Takahashi, manager della Tepco a capo della disastrata centrale di Fukushima, incontrando nel bunker antisismico dell'impianto un pool di media stranieri, tra cui l'ANSA, prima testata italiana a visitare il sito.

Sul mantenimento dell'impianto, duramente colpito dal sisma/tsunami dell'11 marzo 2011, nello stato di 'arresto a freddo', come dichiarato lo scorso dicembre dal governo nipponico, Takahashi ha ammesso che "non è possibile dire che se le nostre attuali apparecchiature sono al riparo da rischi". L'incognita principale resta quella dell'evento catastrofale, "come terremoto e maremoto", mentre il livello di attenzione, per altro verso, non deve mai diminuire.

La centrale nucleare di Fukushima è oggi 'aperta' ai media per la terza volta in assoluto, ma questa volta in modo pressoché esclusivo a favore di quelli stranieri, tra cui l'ANSA, prima testata italiana a poter visionare gli sforzi del gestore Tepco e del governo per portare sotto controllo la crisi nucleare più grave dopo Cernobyl. A quasi un anno di distanza dal sisma/tsunami che l'11 marzo 2011 devastò il nordest del Giappone, la regione del Tohoku, la situazione della struttura che ha fatto trattenere il fiato al mondo intero è lontana dall'essere risolta, pur tra i progressi descritti dall'Aiea, l'Agenzia atomica che fa capo all'Onu.

Dopo la dichiarazione di stato compatibile con 'l'arresto a freddo decisa a dicembre dal governo nipponico grazie alla temperatura nei reattori danneggiati 'stabilmente' ben al di sotto degli 80 gradi, è stata autorizzata da ultimo l'apertura dello spazio aereo fino a 3 km dall'impianto, la distanza ora considerata di sicurezza, molto meno della 'no-fly zone' precedente del raggio di 20 km, pari alla zona di evacuazione totale a livello di superficie per il rischio contaminazione.

I problemi all'interno della struttura - i reattori n.1-3 hanno subito la fusione parziale del nocciolo e il n.4 è stato seriamente danneggiato dalla forza dell'onda anomala di almeno 15 metri - non sono affatto finiti. L'Agenzia per la sicurezza nucleare nipponica (Nisa) ha infatti rilevato, dopo un'accurata verifica dell'impianto di Fukushima, di aver trovato una decina di errori fatti dall'operatore Tepco che spaziano dalle modalità per le attività da svolgere in sicurezza fino alla sorveglianza delle condizioni di esercizio nello stabilimento.

L'ispezione, di 19 giorni e la prima fatta sul capo dallo scoppio della crisi, ha preso di mira il sistema di circolazione dell'acqua di raffreddamento dei reattori, incluso un termometro rivelatosi difettoso e responsabile di apprensioni inutili all'unità 2 viste le temperature segnalate erroneamente al rialzo. Resta sempre difficile la situazione per i 3.000 ingegneri, tecnici e operai che lavorano senza sosta a Fukushima, malgrado l'allentamento della rigidità dei turni.

La morte per infarto avvenuta lo scorso maggio di un uomo di 60 anni, dipendente di una società edile subappaltatrice, è da collegare al super lavoro (il cosiddetto 'karoshi') svolto presso la centrale, ha scritto la stampa nipponica. E' la prima volta, secondo il ministero del Welfare, che è stato riconosciuto il decesso di un lavoratore coinvolto nella crisi nucleare come risultato dello stress accumulato. Nel percorso di avvicinamento al J-Village, 'la Coverciano del Giappone' diventata base di coordinamento delle operazioni nella crisi di Fukushima, ai limiti dell'area off-limits, la prima tappa con tre colleghi tedeschi è a Hitachi, città di 200.000 abitanti nella prefettura di Ibaraki, una novantina di km dal punto di ritrovo.

E' qui che nel 1910 il visionario Namihei Odaira fondò la Hitachi, la conglomerata ora tra i colossi mondiali del nucleare e che ha realizzato negli Anni '70 il reattore n.4 di Fukushima.


SCHERMA: Nuove classifiche mondiali, Di Francisca prima nel fioretto, Del Carretto seconda nella spada.

La Federazione Internazionale di scherma ha diramato le nuove classifiche mondiali dopo le prove di Coppa del Mondo svoltesi nel week end.
Nel ranking di fioretto femminile, in vista della tappa italiana di Torino, Elisa Di Francisca torna in vetta, invertendosi con Valentina Vezzali adesso al secondo posto.
Nella spada femminile, Bianca Del Carretto scala ancora una posizione e diventa numero 2 al Mondo, alle spalle della romena Ana Branza. Ottimo balzo avanti di Mara Navarria che sale al settimo posto, entrando per la prima volta tra le prime dieci al Mondo.
Rimangono inalterate le classifiche individuali maschili, con il dominio azzurro nel fioretto dove Andrea Cassarà è numero 1, seguito da Giorgio Avola al secondo posto e da Valerio Aspromonte al terzo. Nella spada, Paolo Pizzo conferma il secondo posto nel ranking, così come Aldo Montano quarto al Mondo nella sciabola maschile.
Nei ranking a squadre, l'Italia guida le classifiche di fioretto maschile e femminile, è terza nella spada femminile e nella sciabola maschile, mentre occupa la quinta posizione mondiale nei ranking di spada maschile e sciabola femminile.

                                                                         Andrea Cassarà


FIORETTO MASCHILE
1. Andrea Cassarà (ITA) pt. 284; 2. Giorgio Avola (ITA) pt. 168; 3. Valerio Aspromonte (ITA) pt. 160; 4. Victor Sintes (Fra) pt. 141; 5. Alaaeldin El Sayed (Egy) pt. 140; 6. Andrea Baldini (ITA) pt. 136; 7. Byung Choi (Kor) pt. 133; 8. Alexey Cheremisinov (Rus) pt. 127; 9. Race Imboden (Usa) pt. 124;10. Erwan Le Pechoux (Fra) pt. 122

15. Luca Simoncelli (ITA) pt. 87
31. Alessio Foconi (ITA) pt. 49 
                                                                      Elisa Di Francisca

FIORETTO FEMMINILE
1. Elisa Di Francisca (ITA) pt. 263; 2. Valentina Vezzali (ITA) pt. 244; 3. Hyun Hee Nam (Kor) pt. 229; 4. Corinne Maitrejean (Fra) pt. 147; 5. Arianna Errigo (ITA) pt. 140; 6. Lee Kiefer (Usa) pt. 120; 7. Ilaria Salvatori (ITA) pt. 119; 8. Eugyenia Lamonova (Rus) pt. 106; 9. Aida Mohamed (Hun) pt. 95; 10. Ines Boubakri (Tun) pt. 93

24. Benedetta Durando (ITA) pt. 57
37. Martina Batini (ITA) pt. 42
41. Giovanna Trillini (ITA) pt. 36
49. Valentina Cipriani (ITA) pt. 30 


                                                                       Valentina Vezzali

SPADA MASCHILE
1. Bas Verwijlen (Ned) pt. 168; 2. Paolo Pizzo (ITA) pt. 164; 3. Kyoung Doo Park (Kor) pt. 146; 4. Joerg Fiedler (Ger) pt. 144; 5. Gauthier Grumier (Fra) pt. 138; 6. Nikolai Novosjolov (Est) pt. 133; 7. Fabian Kauter (Sui) pt. 131; 8. Max Heinzer (Sui) pt. 129; 9. Geza Imre (Hun) pt. 125; 10. Ruben Limardo (Ven) pt. 117

11. Matteo Tagliariol (ITA) pt. 116
18. Alfredo Rota (ITA) pt. 90
37. Stefano Carozzo (ITA) pt. 41
39. Francesco Martinelli (ITA) pt. 40
47. Diego Confalonieri (ITA) pt. 33 


                                                                     Bianca Del Carretto

SPADA FEMMINILE
1. Ana Branza (Rou) pt. 165; 2. Bianca Del Carretto (ITA) pt. 159; 3. Yujie Sun (Chn) pt. 152; 4. Simona Gherman (Rou) pt. 149; 5. Tiffany Geroudet (Sui) pt. 140; 6. Yana Shemyakina (Ukr) pt. 138; 7. Mara Navarria (ITA) pt. 135; 8. Lubov Shutova (Rus) pt. 111; 9. Magdalena Piekarska (Pol) pt. 111; 10. Anca Maroiu (Rou) pt. 111

18. Rossella Fiamingo (ITA) pt. 86
26. Nathalie Moellhausen (ITA) pt. 66
50. Francesca Boscarelli (ITA) pt. 36 


                                                                  Nathalie Moellhausen

SCIABOLA MASCHILE
1. Nicolas Limabch (Ger) pt. 248; 2. Alexey Yakimenko (Rus) pt. 236; 3. Bon Gil Gu (Kor) pt. 230; 4. Aldo Montano (ITA) pt. 172; 5. Woo Young Won (Kor) pt. 162; 6. Aron Szilagyi (Hun) pt. 142; 7. Rares Dumitrescu (Rou) pt. 139; 8. Bolade Apithy (Fra) pt. 119; 9. Gigi Tarantino (ITA) pt. 119; 10. Julien Pillet (Fra) pt. 115

11. Diego Occhiuzzi (ITA) pt. 110
12. Giampiero Pastore (ITA) pt. 101
46. Marco Tricarico (ITA) pt. 32

SCIABOLA FEMMINILE
1. Sophia Velikaia (Rus) pt. 258; 2. Mariel Zagunis (Usa) pt. 255; 3. Olga Kharlan (Ukr) pt. 230; 4. Julia Gavrilova (Rus) pt. 189; 5. Ekaterina Diatchenko (Rus) pt. 158; 6. Min Zhu (Chn) pt. 153; 7. Ji Yeon Kim (Kor) pt. 134; 8. Azza Besbes (Tun) pt. 128; 9. Vassiliki Vougiouka (Gre) pt. 118; 10. Aleksandra Socha (Pol) pt. 117

11. Irene Vecchi (ITA) pt. 115
12. Gioia Marzocca (ITA) pt. 106
45. Ilaria Bianco (ITA) pt. 32 

 
Ranking a squadre
FIORETTO MASCHILE
1. ITALIA pt. 376; 2. Cina pt. 326; 3. Germania pt. 302; 4. Francia pt. 294; 5. Giappone pt. 272; 6. Russia pt. 262; 7. Usa pt. 240; 8. Corea pt. 240; 9. Polonia pt. 197; 10. Gran Bretagna pt. 183

FIORETTO FEMMINILE
1. ITALIA pt. 424; 2. Russia pt. 388; 3. Corea pt. 316; 4. Polonia pt. 250; 5. Usa pt. 234; 6. Ungheria pt. 218;7. Germania pt. 210; 8. Francia pt. 208; 9. Giappone pt. 199; 10. Canada pt. 190

SPADA MASCHILE
1. Francia pt. 358; 2. Corea pt. 352; 3. Ungheria pt. 317; 4. Usa pt. 290; 5. ITALIA pt. 248; 6. Russia pt. 240; 7. Cina pt. 238; 8. Germania pt. 204; 9. Svizzera pt. 199; 10. Norvegia pt. 189;

SPADA FEMMINILE
1. Romania pt. 364; 2. Cina pt. 346; 3. ITALIA pt. 302; 4. Estonia pt. 267; 5. Corea pt. 245; 6. Russia pt. 242; 7. Germania pt. 232; 8. Francia pt. 218; 9. Usa pt. 205; 10. Ucraina pt. 202

SCIABOLA MASCHILE
1. Russia pt. 376; 2. Germania pt. 344; 3. ITALIA pt. 320; 4. Bielorussia pt. 308; 5. Romania pt. 260; 6. Corea pt. 226; 7. Usa pt. 219; 8. Ungheria pt. 212; 9. Francia pt. 207; 10. Cina pt. 194

SCIABOLA FEMMINILE
1. Russia pt. 424; 2. Ucraina pt. 348; 3. Usa pt. 284; 4. Cina pt. 284; 5. ITALIA pt. 264;6. Corea pt. 226; 7. Francia pt. 222; 8. Polonia pt. 208; 9. Ungheria pt. 191; 10. Germania pt. 170.



Fiat 500 America: il primo esemplare all'asta su Twitter



Fiat 500 America a tiratura limitata


Per il lancio della 500 America, versione della normale 500 che s'ispira allo stile Stars&Stripes, Fiat s'è inventata una simpatica e inusuale iniziativa mediatica. Si chiama TwitBid ed è una vera e proprio asta il cui vincitore, cioè chi farà l'offerta più alta, si porterà a casa l'esemplare n° 1 della vettura, la cui "tiratira" è prevista in 500 esemplari.

La vettura, con motorizzazione 1.2 da 69 CV, è già abbondantemente personalizzata in chiave yankee, ma la prima che uscirà dalla catena di montaggio verrà fornita al fortunato vincitore con un'ulteriore caratterizzazione: un badge sul montante esterno sinistro con il numero di serie 1/500 e, niente di meno, il "nickname" di chi sarà riuscito ad accaparrarsela. Già, perché (ovviamente) la competizione attraverso la quale verrà assegnata la macchina avverrà esclusivamente online su Twitter. Ne deriva che il primo requisito per vincerla è iscriversi al noto social network. Il secondo, invece, è essere disposto a sfidare gli altri concorrenti a colpi di rialzi, ciascuno a partire da un singolo euro.
L'idea della 500 America è quella di offrire un tributo agli Stati Uniti, un mercato dove la piccola Fiat ha tentato un difficile sbarco che per ora non sembra aver funzionato in pieno. Il progetto dell'asta su Twitter è dell'agenzia Hagakure, specializzata in pubbliche relazioni tramite internet, mentre la realizzazione pratice dell'intera iniziativa sono di Leo Burnett, un'altra agenzia con la quale Fiat ha rapporti consolidati. L'asta per la 500 America n° 1, che prenderà il via il 1° marzo e durerà fino al 15 del mese, è aperta ai cittadini di 13 Paesi europei (oltre all'Italia, anche Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Olanda, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera), ma non a quelli americani. Infatti, contrariamente a ciò che potrebbe sembrare, la vettura è basata sulla 500 con omologazione europea, che ha standard diversi da quelli adottati sul mercato americano. Dalla gara è escluso anche il Regno Unito perché, in caso di vincita da parte di un cittadino britannico o irlandese, Fiat avrebbe dovuto fabbricare appositamente un 500 America con guida a destra.
                                                                                      Storia:

La Fiat 500L è un'automobile prodotta dalla casa automobilistica italiana Fiat a partire dal 2012. Si tratta di un modello che raccoglie sia l'eredità della Fiat Idea sia la filosofia dell'azienda italiana di creare una vera e propria famiglia di vetture derivate, da un punto di vista d'immagine, dalla 500 del 2007. La vettura deriva meccanicamente dalla Fiat Grande Punto e riporta alla luce il concetto di architettura "cab forward" che nasce in casa Fiat con lo storico modello 600 Multipla del 1956.

500L è il nome commerciale dato a un progetto che fino al momento della sua presentazione ufficiale al pubblico in versione definitiva è sempre stato identificato, all'interno del gruppo industriale ma anche dalla stampa, come L0 (o Ellezero).[1] Si inizia a parlare del modello L0 dall'aprile 2010, quando Fiat rilascia il proprio piano di business quinquennale durante il giorno dedicato agli analisti e investitori. Viene anticipato dalla Fiat semplicemente come MPV compatto, ma era facile intuire che si stava parlando dell'erede diretto della Fiat Idea.[3] Al momento della presentazione del piano di business è stata anche rilasciata l'informazione che il modello sarebbe stato commercializzato in due versioni, una a 5 posti e una a 7 posti e che quest'ultima sarebbe stata esportata anche nel mercato nord americano. Questa anticipazioni hanno suscitato molte indiscrezioni da parte della stampa ma hanno anche fatto intuire che la Ellezero, essendo commercializzata anche in versione a sette posti, avrebbe raccolto l'eredità non solo della Fiat Idea ma anche della Fiat Multipla del 1998. Il modello era precedentemente destinato allo stabilimento Fiat di Mirafiori dove venivano già prodotti i due monovolume a marchio Fiat in quel momento in commercio. A causa degli scontri avvenuti fra l'azienda italiana e la Fiom per il progetto Fabbrica Italia Pomigliano, l'accordo per la produzione a Mirafiori salta e la Fiat decide di andare sul sicuro e trasferire la produzione altrove dichiarando di non potersi permettere di mettere in pericolo la produzione di un modello importante come la L0 a causa di scarsa intesa con le parti sociali e le scarse certezze e garanzie che caratterizzavano la produzione in Italia in quel momento, criticando pesantemente la scarsa serietà dei sindacati. Tuttavia, sebbene la Fiom abbia avuto una responsabilità di prim'ordine nel far perdere a Mirafiori la produzione della Ellezero (e il governo italiano non sia minimamente intervenuto sulla questione), c'è da sottolineare quanto invece in Serbia per Fiat si stava aprendo un'offerta molto vantaggiosa con il governo locale per la produzione della Ellezero negli ex stabilimenti Zastava di Kragujevac vicino a Belgrado.
In giro di poco tempo viene quindi ufficializzata la produzione della Ellezero negli stabilimenti serbi di Kragujevac. Tali stabilimenti non sono nuovi per la casa automobilistica italiana, La Zastava infatti, azienda proprietaria del sito produttivo, era un partner molto legato alla Fiat sin dai primi anni cinquanta; La stessa Fiat aveva contribuito alla costruzione dell'antico sito produttivo che venne pesantemente danneggiato nei primi anni novanta dagli attacchi NATO durante le guerre jugoslave che hanno caratterizzato quegl'anni. La fabbrica venne definitivamente rasa al suolo, sempre dalla NATO durante la guerra del Kosovo con i pesanti bombardamenti del 1999 che coinvolsero la città di Belgrado e le cittadine limitrofe tra cui Kragujevac. Il 30 aprile 2008 è stata diffusa la notizia della firma di un protocollo d'intesa tra lo stato serbo e Fiat Group Automobiles, che ha portato alla creazione di una nuova linea produttiva (in joint-venture) tra le due parti (di cui il 70% a FGA e la restante quota allo stato serbo). Il costo totale dell'investimento è stato di un miliardo di euro dei quali 400 milioni sono stati elargiti dalla BEI, 250 dal governo serbo e i rimanenti 350 dalla società italiana.[4][6][5]
La Fiat 500L viene presentata, nella sua veste e nome definitiva, nei primi giorni del febbraio 2012 attraverso una presentazione stampa sul sito ufficiale del gruppo. La presentazione dal vivo della vettura è invece destinata al salone dell'automobile di Ginevra nel marzo dello stesso anno. Si tratta di una monovolume dalle dimensioni contenute: è lunga 414 centimetri ed è caratterizzata da un frontale molto corto, questo fa intuire quanto la vettura sia molto orientata verso l'abitabilità interna e tutta la meccanica sia stata disposta in modo da favorirla. Si inserisce in un segmento di mercato in netta espansione ma già molto ricco di concorrenti. Tuttavia la vettura si discosta dalle normali piccole monovolume, sia da un punto di vista estetico che concettuale. La 500L inoltre è stata concepita per essere un modello polivalente e idoneo a mercati molto diversi fra loro, quello nord americano e quello europeo dove il segmento delle monovolume compatte è di 450.000 unità l'anno di cui 250.000 solo in Italia. La vettura inoltre viene posta sul mercato si con marchio Fiat ma facente parte della "famiglia 500" che per la casa torinese sta diventando un vero e proprio brand indipendente (soprattutto negli Stati Uniti) con cui la Fiat vuole proporre modelli molto curati da un punto di vista della personalità estetica, di tendenza e caratterizzati da uno stile meno "di massa" rispetto alle altre vetture della gamma, senza venir meno alla qualità e alla serietà. Nonostante ciò la vettura è molto razionale e il concetto di "premium" a lei applicato, anticipato dalla sorellina (commercialmente parlando) 500 del 2007, è perlopiù una questione d'immagine; da un punto di "prodotto" la vettura è a tutti gli effetti l'erede della Fiat Idea.
La 500L porta diverse soluzioni sia estetiche che tecniche molto caratterizzanti, Sul piano estetico (stile, scelta dei volumi ed ergonomia) la vettura riprende sia concetti di un'utilitaria sia quelli di una monovolume ma si distingue per una disegno generale che ricorda un piccolo sport utility vehicle urbano. I richiami alla 500 sono evidenti ma lo sono anche quelli alla nuova Panda del 2012.
Il corpo della 500L, limitato in poco più di quattro metri e dieci centimetri di lunghezza, è suddiviso in due volumi: abitacolo e cofano motore; nonostante quest'ultimo sia assai contenuto la divisione è netta, marcata dal montante anteriore poco rastremato, volto a migliorare l'abitabilità interna. Il montante in questione è doppio, ovvero è costituito da due bracci, più fini rispetto a un montante singolo, tra i quali è stata ricavata una parte vetrata per aumentare la visibilità. Tutta la parte finestrata della vettura è caratterizzata da montanti nascosti, ovvero anch'essi esternamente rivestiti in vetro, al fine di creare uno stacco completo fra il tetto e la fiancata della vettura, tetto che da l'impressione quindi di essere sospeso. Questa scelta da molta dinamicità all'auto e fa perdere la sensazione di sproporzione data dall'altezza elevata, in questo caso 166 centimetri contro i 149 della Grande Punto, che contraddistingue le monovolume compatte. Da un punto di vista stilistico invece la 500L si presenta come un incrocio fra la 500 e la nuova Panda: Il frontale presenta gli stessi tratti della 500 opportunamente adeguati al corpo di una vettura più lunga, i gruppi ottici vengono allungati e rimangono simili le luci di posizione staccate dal faro principale. Anche il caratteristico baffo cromato è presente ma nella nuova forma riprende perlopiù quello della storica Fiat 600 Multipla che avvolge interamente il logo e termina agli estremi rastremandosi leggermente. I riferimenti alla Panda invece sono più presenti sulla fiancata, dove viene ripreso il terzo finestrino posteriore più piccolo che collega i finestrini della fiancata al vetro del lunotto, dando quindi un senso di continuità. Oltre ai passaruota molto marcati e muscolosi, anche i paraurti posteriori e laterali riprendono molto la piccola utilitaria, la quale è stata usata anche come fonte di ispirazione per gli interni dell'abitacolo. Nonostante il disegno della vettura trovi fonti di ispirazione nei modelli di casa Fiat il risultato finale riporta alcune somiglianze con la Mini Countryman.
Basata sul pianale di casa Fiat denominato "Small" che ha esordito con la Fiat Grande Punto ma che dal 2005 ha ricevuto diverse modifiche importanti come quelle per adattarsi all'architettura del Fiat Doblò, qui viene pesantemente modificato nella sua interezza, non solo per adattarsi alle dimensioni maggiori della 500L, più lunga e più larga, ma anche per l'innovativa tipologia di architettura che la 500L porta con se, ufficialmente denominata "Cab Forward".
Con la 500L viene concretizzata una soluzione che in casa Fiat trova radici molto lontane. Questo tipo di architettura infatti distinse uno dei veicoli più originali e amati della casa automobilistica italiana: la Fiat 600 Multipla. Cab Forward è un tipo di architettura volto a migliorare il più possibile l'abitabilità interna andando a intervenire sulla disposizione dei volumi della vettura. Il volume del cofano viene così sacrificato favorendo l'abitacolo che viene letteralmente spostato in avanti verso il frontale della vettura andando a invadere il volume del vano motore. Per raggiungere questa soluzione il montante anteriore è diviso in due, una parte è ancorata in una posizione convenzionale mentre l'altra invade il volume frontale, il montante stesso è anche poco inclinato rispetto alle altre vetture, altra soluzione che favorisce l'abitabilità interna.
Al lancio la vettura è stata dotata di 4 motorizzazioni: due propulsori sono alimentati a benzina ( il nuovo bicilindro SGE 0.9 TwinAir da 85 CV e 1.4 da 77 e 105 CV) e un turbodiesel (1.3 Multijet 2 declinato in due potenze, 75 e 95 CV).


Calcio e personaggi. Gabriel Omar Batistuta

 Gabriel Omar Batistuta (Avellaneda, 1º febbraio 1969) è un ex calciatore, allenatore di calcio e dirigente sportivo argentino. Commentatore televisivo, dal 2010 fa parte dello staff tecnico della Nazionale argentina e dal 2012 svolgerà il ruolo di Segretario Tecnico al Colon de Santa Fe.
Era soprannominato Batigo] e Re Leone
Con 56 gol è il miglior realizzatore nella storia della Nazionale argentina; con 152 gol è il miglior marcatore della Fiorentina in Serie A, squadra di cui è stato anche capitano nel corso degli anni novanta ed è anche il marcatore assoluto della squadra con 212 gol. Inoltre, con 184 reti, è al 10º posto nella classifica dei marcatori della Serie A. Nel 1994 ha stabilito il nuovo record di gol in giornate consecutive nel campionato italiano (11), in precedenza appartenente ad Ezio Pascutti. Infine, detiene la miglior media gol in relazione alle partite giocate tra i giocatori con almeno 300 partite in Serie A dal 1965 ad oggi (0,58).
Inserito nella FIFA 100, la lista dei 125 migliori calciatori della storia, redatta in occasione del Centenario della FIFA, occupa inoltre la 23ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata da World Soccer
 

Il dramma di Batistuta: "Fa fatica a stare in piedi"

Il grande attaccante di Fiorentina, Roma e Inter non può stare in piedi per mezz'ora a causa di problemi alle ginocchia. Le infltrazioni che ha subito gli hanno sbriciolato i tendini -

Gabriel Batistuta (Germogli)
Gabriel Batistuta (Germogli)
Firenze, 9 agosto 2011 - Gabriel Omar Batistuta, 42 anni, indimenticabile attaccante della Fiorentina, della Roma, dell'Inter e della nazionale argentina, fatica a camminare. Accusa problemi sempre più seri alle ginocchia e non riesce più a rimanere in piedi per mezz'ora".
Lo ha raccontato in un'ntervista a calciomercato.com, Luca Calamai, vicedirettore e inviato della Gazzetta dello Sport. "Ho avuto la fortuna di diventare amico di Gabriel Omar Batistuta ai tempi della sua avventura viola; all'inizio si sentiva osteggiato dalla coppia Branca-Borgonovo, che gli fecero la guerra. E ho vissuto quel periodo insieme con lui. Poi, quando Batistuta segnò il gol alla Juve mi inventai dl'iniziativa: spedite un sms a Batigol. E il fax della redazione di Firenze della Gazzetta andò in tilt! In due giorni, 3.000 messaggi. Poi, da lì decollò tutto. Ora purtroppo Batistuta fatica a camminare e gira il mondo cercando il sole. Non può stare in piedi più di mezz'ora per problemi alle ginocchia. Le infiltrazioni che ha subito gli hanno sbriciolato i tendini".

Con 56 gol, Batistuta è il miglior realizzatore nella storia della Nazionale argentina; con 152 gol è il miglior marcatore della Fiorentina in Serie A, squadra di cui è stato anche capitano ed è anche il marcatore assoluto della squadra con 212 gol. Inoltre, con 184 reti, è al 10° posto nella classifica dei marcatori della Serie A. Nel 1994 ha stabilito il nuovo record di gol in giornate consecutive nel campionato italiano (11), in precedenza appartenente ad Ezio Pascutti. Infine, detiene la miglior media gol in relazione alle partite giocate tra i giocatori con almeno 300 partite in Serie A dal 1965 ad oggi (0,58).

(La Nazione)
 
 
 
 
Scheda redazionale: 
 
Gabriel Omar Batistuta
 
Nazione: Argentina   
 
Nato: 01 - 02 - 1969
 
Ruolo: Attaccante       
 
Fiorentina 1991-2000
 
Roma 2000-2003
 
Inter 2003
 
Presenze ufficiali 414
 
Gols 242
 
Palmerès: 1 scudetto, 2 Suprcoppe Italiane e 1 Coppa Italia.
 
Voto: 10
 

Economia: il debito già pagato


In un sito spagnolo, trovo questo dato: «Negli ultimi 10 anni, la Spagna ha rimborsato, interessi compresi, 1.020 miliardi di euro, ossia il triplo di quanto lo Stato aveva preso a prestito nel 2000, e continua a doverne pagare più del doppio».

1.020 miliardi! Cento miliardi di euro all’anno che la finanza, fra capitali e interessi, ha prelevato ad una nazione civile ma non certo ricca, ad un’economia non certo rigogliosa, ad uno Stato certo meglio governato che il nostro (1), il cui debito pubblico ammontava, prima della tempesta globale, a solo il 60% del PIL.

Cercare di stabilire quanto la finanza ha prelevato all’Italia, richiederebbe giornate di ricerche, che non ho tempo di fare. Ma sicuramente la tosatura che abbiamo subito nel decennio supera il doppio o il triplo di quella subita dagli spagnoli, data l’entità astronomica del nostro debito pubblico, e il fatto che è molto più «vecchio» di quello iberico, sicchè siamo al suo servizio da più anni. E ci sarebbe da ripetere i calcoli per la Grecia, il Portogallo, l’Irlanda: risulterebbe che nell’insieme, abbiamo già pagato ai creditori non solo migliaia di miliardi, ma molte volte il nostro debito, e che dobbiamo continuare a pagarne ancora, all’infinito, a forza di austerità, tagli e rigori, perchè – come vediamo per la Grecia – gli Stati che non riescono a servire il debito, ricevono «aiuti», ossia altri prestiti ad interesse, su cui pagheranno sempre più interessi...

Restiamo dunque alla Spagna, caso-modello che vale più o meno per tutti noi nazioni in difficoltà a raccogliere altri prestiti sui «mercati, i quali chiedono ormai interessi proibitivi». Per capire come un debito pubblico che nel 2000 ammontava a 305 miliardi sia divenuto nel 2010 un esborso di 1.020 miliardi, bisogna prima ricordare che i debiti pubblici hanno una struttura diversa da quelli che accendono i privati, famiglie o imprese. In questi, i soldi che la banca ci presta (capitale) li rimborsiamo insieme agli interessi, via via, a misura della dilazione accordata. Nella rata mensile del mutuo che paghiamo, c’è una quota di restituzione di capitale e una di interessi, che variano nel tempo: all’inizio, il rateo poniamo di 900 euro è quasi tutto interessi, alla fine è quasi tutto capitale.

Nel caso degli Stati, solo gli interessi sui titoli di debito (a breve, medio o lungo termine) sono rimborsati regolarmente; fino alla scadenza del titolo (BOT, Bto, Bono, Bund…), allorchè il capitale deve essere rimborsato integralmente. Quando un BOT viene a scadenza, lo Stato rimborsa il valore facciale, anche se intanto, essendo il BOT di un Paese «a rischio» per la finanza e le agenzie di rating, sul mercato secondario, qualcuno l’ha comprato al 90%, al 70% o al 30% del valore facciale, lucrando più grassi interessi. Ma questo è un altro discorso.

Il fatto è che quando arriva la scadenza dei titoli, gli Stati non hanno i quattrini per rimborsarli integralmente; la loro soluzione abituale è stata di indebitarsi di nuovo per pagare le scadenze dei debiti vecchi. È il trucco che permette di dissimulare l’indebitamento a quelli che dovranno pagarlo (i contribuenti), perchè tutto si pareggia a livello contabile: le spese per pagare i titoli in scadenza equivalgono agli introiti ottenuti con l’emissione del nuovo debito.

Ma è un pareggio che non dice nulla: il debito aumenta per la gestione «politica» (platealmente clientelare nel caso italiano) del bilancio, sicchè aumentano ogni volta di più i pagamenti a scadenza, il che rende necessarie più grosse emissioni. Fino al momento – che è infine arrivato negli ultimi tempi – in cui le nuove emissioni devono essere emesse a tassi più alti per convincere i «mercati» a comprarle. Ciò sbocca nell’effetto-valanga che tutti subiamo: l’aumento del debito per l’effetto congiunto dei rincari dell’interesse e dei nuovi prestiti da accendere per pagare i vecchi. Fino all’insostenibilità.

Compreso questo meccanismo, si è in grado di capire la tabella postata dal sito spagnolo:


Ecco l’impressionante progressione degli esborsi di Madrid nell’ultimo decennio
. Si vede che lo Stato ispanico ha già rimborsato più di tre volte la somma che aveva preso in prestito nel 2000 (305 miliardi), senza con ciò riuscire a ridurre l’ammontare del debito; anzi continua a doverne quasi il doppio (552).

È la catena della schiavitù usuraria senza fine, con cui un tempo il Fondo Monetario svuotava i Paesi poveri del Terzo Mondo (obbligandoli agli «aggiustamenti strutturali», ossia a smantellare le reti sociali, scuola, previdenza e sanità), e che adesso si applica agli europei mediterranei.

Nella tabella si constata anche come la Spagna, per quel debito iniziale di 305 miliardi, abbia pagato 200 miliardi di soli interessi nel decennio, e rimborsato 820 miliardi di capitale...

Così si arriva (capitale più interessi) all’immane cifra di 1.020 miliardi. Sono mille e 20 miliardi che hanno dovuto essere sottratti ai servizi pubblici, istruzione, sanità, previdenze sociali, infrastrutture, sostegni alla parte più vulnerabile della popolazione, giovani senza-lavoro, vecchi, malati.

È un enorme trasferimento di ricchezza dai poveri a ricchi, banche, fondi speculativi e rentiers in genere. E il blocco dei ricchi, dei creditori, s’è costituito in un Nuovo Ordine, dandosi istituzioni apposite per assicurarsi che questo trasferimento non abbia mai fine, anzi che consenta sempre più grassi lucri; perchè i più alti interessi richiesti sono nuovi profitti che gli speculatori succhiano da Paesi che hanno impoverito.

In questo senso, nella sua ultima intervista al Wall Street Journal (il giornale dei miliardari usurai), Mario Draghi ha decretato: «Il modello sociale europeo è già superato». Ci ha annunciato gli «aggiustamenti strutturali», ossia che il Nuovo Ordine Usuraio ci farà smantellare lo Stato sociale o quel che ne resta, per risparmiare i soldi con cui servire il debito, ossia pagare ancora e ancora i creditori, i ricchi: già stanno applicando il loro «risanamento» alla Grecia.

Ci portano verso il regime di salari, sindacalizzazione e di copertura sociale del loro modello: la Cina. Occorre continuare a pagare il debito, altrimenti «le banche collassano», eccetera.

Peccato che non ci sia nessuno che a Draghi e ai suoi pari chieda:

• Ma dove sono finiti quei 1.020 miliardi di euro che la Spagna ha pagato al sistema bancario-usurario e speculativo?

• E quei 3 o 4 mila miliardi pagati nel servizio del debito dagli italiani, per non parlare dei portoghesi e degli irlandesi?

• Come mai le banche e la speculazione «sono in pericolo», sono «esposte» al rischio di default greco e italiano o spagnolo, dopo aver incassato quelle astronomiche cifre, succhiandole dalle tasche dei lavoratori?

• Hanno già ricevuto tre volte almeno il capitale che hanno prestato: che cosa ne hanno fatto?

• Perchè ancor oggi dobbiamo privarci di investimenti essenziali per un miglior futuro, istruzione, ricerca, salute, a beneficio di ultraricchi i cui miliardi vanno in speculazioni e follie dell’avidità, produttrici di bolle, della immane bolla assoluta, quella dei derivati?

• Oggi si mettono sotto controllo gli Stati, per controllare come spendono i soldi e tagliarne gli sprechi veri o presunti; ma è da mettere sotto controllo il sistema bancario, creditizio-speculativo, per rispondere alla stessa domanda: come avete speso i soldi? Quali e quanti investimenti avete sbagliato, e perchè?

Per impedire che qualcuno ponga queste domande, il Sistema abolisce la democrazia. In Grecia, come abbiamo visto, in Italia, presto in tutti i Paesi indebitati, dove i governi saranno sotto la tutela dell’orwelliano «Meccanismo di Stabilità Europea», ESM.

Questo ESM, che dovrebbe avanzare fondi a Stati in difficoltà esigendo «severe condizionalità», è dunque una copia europea del Fondo Monetario. Ma non è un’istituzione europea. Lo ESM, il nuovo supergoverno, è una società finanziaria, con sede nel paradiso fiscale chiamato Lussemburgo. I suoi azionisti sono i 17 Stati della zona euro. Sono «azionisti» e non sovrani alla pari, perchè ciascuno ha tante azioni quanto più ne sottoscrive. E dunque più potere decisionale degli altri. Lo Stato più ricco, la Germania, sottoscrive il 27% delle azioni. La Francia, il 20,5%. L’Italia il 18%. La Spagna il 12%, l’Olanda il 5,5%, giù giù fino a Malta con lo 0,07%.

Già al primo sguardo si nota che Berlino e il suo satellite Paris-Sarko, insieme, hanno la maggioranza sostanziale dei voti: il 47,5%. Esattamente come nel FondoMonetario, dove USA e Gran Bretagna sono i due azionisti maggiori: basta che si mettano d’accordo i due compari, e nessuna maggioranza contraria può formarsi. Si fa quel che decidono i due.

Sarà bello vedere come farà la Francia a sborsare i 142 miliardi di euro richiestile per diventare il satellite di lusso di Berlino (Hollande ha già detto che non gli va). Quanto all’Italia, Monti ci farà sicuramente sputare, oltre le ipertassazioni che già ha assestato, i 130 miliardi richiesti per avere il terzo posto. Fra gli applausi di un’opinione pubblica tenuta all’oscuro dell’intera faccenda e della sua vera natura, grazie ai media che si sono superati in servilismo.

130 miliardi sono quattro o cinque finanziarie in più, che si aggiungono alle stangate in corso. È istruttivo constatare che l’Italia deve sborsare i 130 miliardi che non ha per entrare nell’organismo che la può «salvare dalla bancarotta» (meglio, salvare le banche a cui dobbiamo i soldi), e di cui non avrebbe bisogno se disponesse dei 130 miliardi.

È la logica del nuovo ordine usurario. In ogni caso, il pagamento allo ESM non si farà – bontà sua – tutto d’un colpo, ma per quote del 20% da versare in cinque anni, una finanziaria all’anno. A meno che intervengano difficoltà improvvise, nel qual caso i Paesi devono versare tutto entro 7 giorni.

Con i 700 modi garantiti dagli Stati membri, lo ESM potrà acquistare parti del debito degli Stati in difficoltà, naturalmente «sui mercati», non direttamente dallo Stato (Orrore, orrore!). Secondo tutte le valutazioni, la cifra, benchè enorme, è ridicolmente inadeguata e rischia presto di consumarsi in «salvataggi». Ma i creatori dello ESM pensano di giocare sull’effetto-leva (ben nota causa primaria della rovina finanziaria attuale) per levare altri fondi, fino a 2 mila miliardi, sui mercati.

Lo ESM, insomma, conta di indebitarsi a tassi bassi (2-3%, 5% sui titoli trentennali che emetterà), per farne fruire, dietro pagamento di una commissione, gli Stati che, se si dovessero rivolgere direttamente ai mercati, dovrebbero pagare tassi gravosissimi, per via del loro rating degradato: il 23% la Grecia, 10% il Portogallo, 6% Spagna e Italia.

Perché lo ESM spunterà condizioni migliori sui «mercati»? Perchè conta di essere considerato un debitore sicuro: le agenzie non gli negheranno il rating massimo, AAA.

Così abbiamo la istruttiva situazione: gli Stati indebitati devono sottoporsi al super-governo, sacrificandogli la sovranità, dandogli il diritto di ingerirsi del loro bilancio, di tagliare le spese, di svendere i loro patrimoni; e da parte sua il super-governo si assoggetta alle agenzie di rating, da cui dipenderà totalmente. Se vale ancora il sillogismo, gli Stati europei sono totalmente assoggettati, più di prima, alle agenzie di rating e alle loro «opinioni».

Se non bastasse, la tripla A dello ESM è tutt’altro che assicurata. Fra gli Stati-azionisti che lo compongono, solo la Germania e i Paesi Bassi hanno per ora la tripla A, e insieme i due Paesi non rappresentano che il 32,5% del capitale. Tutto bene finchè i Paesi in difficoltà sono solo Grecia, Portogallo e Irlanda, che insieme pesano appena il 7%. Ma che cosa accadrebbe se Paesi come Spagna e Italia, già degradati dalle agenzie, perdessero altri punti a loro giudizio? Insieme, questi due Paesi pesano il 30%.

Mettiamo che anche la Francia perda le A (ha già cominciato), e si arriva al 60% dell’azionariato dell’ESM in difficoltà. Come volete che i «mercati» prestino al 2-3% a una banca in cui azionisti sono in maggioranza in dissesto? Esigeranno anche dallo ESM tassi più alti.

Così, proprio nel momento in cui lo ESM dovrà far fronte a grossi Paesi in difficoltà, quei Paesi – proprio perchè in difficoltà – non potranno più contribuire allo ESM. I bisogni di finanziamento soverchieranno largamente le sue capacità, che a quel punto graveranno sulla sola Germania, sull’Olanda e su una Francia pericolante. Lo smagliante rating della Germania sarà esso stesso in pericolo. I titoli emessi dallo ESM non faranno che salire, il suo debito gonfiarsi, fino a che questo castello di liquidità (debito su debito a piramidi sovrapposte, come diceva Maurice Allais) crollerà.

È il mercato, ragazzi! E l’avete voluto voi.

Lo ESM avrà un consiglio di «governatori» (i ministri delle Finanze dei 17 Stati azionisti) i quali nominato il consiglio d’amministrazione: 17 membri. Ma poichè questa è una ditta e non una democrazia, ciascun governatore dispone dei voti equivalenti alle azioni che il suo Paese possiede. Dunque, non c’è alcuna parità, come sarebbe in una riunione di Stati. Il potere è tedesco, i piccoli Stati non contano nulla, e infatti le «terapie» d’austerità applicate ai greci sono la ricetta tedesca, che tutti i competenti giudicano controproducente: infatti, sotto i rigori estremi, il debito greco è passato in soli due anni – dal 2008 al 2010 – dal 113% al 98% del PIL. L’ultimo prestito di 130, non ha risolto e non risolverà nulla.

Nè i parlamenti nazionali, nè il parlamento europeo hanno il diritto ad esprimere un parere sulle azioni dello ESM. Quanto alle misure rigorose cui gli Stati indebitati dovranno piegarsi se accedono ai suoi prestiti, queste misure non sono applicate dallo ESM, bensì dalla «Troika»: Commissione Europea, Banca Centrale Europea, e Fondo Monetario Internazionale. Tre organi su cui i cittadini e i loro eletti non hanno alcuna voce in capitolo.

I tagli all’osso imposti alla Grecia (è vero, poco virtuosa) ma anche al Portogallo, che ha giocato secondo le regole, dicono che la Troika, nell’interesse supremo dei creditori, usa la mano pesante: massicce privatizzazioni, tagli dei salari, stroncamento del salario minimo, tagli alle pensioni, rimessa in discussione totale dei diritti dei lavoratori e delle protezioni sociali, rincari dell’IVA, eccetera.

Le austerità della Troika non potranno essere discusse, contestate e men che meno emendate. Votare diventa inutile, in Grecia, perchè «non ci possono essere emendamenti al programma e non ci saranno», come ha sibilato Angela Merkel.

Sembra ieri che la Merkel aveva espresso la vaga idea di «moralizzare» il mondo della speculazione selvaggia. Tutto finito. Paesi strangolati al servizio del debito, per far contenti i creditori. Con metodi che, come dice l’economista francese Michel Agliettà (ma è un coro unanime), aggravano la situazione debitoria invece di alleviarla.

«I piani di austerità sono fatti per pagare gli interessi sul debito. Ma austerità significa minor crescita, dunque minori introiti fiscali e aumento delle spese legate alla disoccupazione. Via via che gli Stati rinnovano le loro obbligazioni sui mercati per finanziarsi, i tassi dinteresse continuano ad aggravarsi. Il deficit della Grecia, invece di abbassarsi, sè accresciuto a causa del peso del debito».

«Ogni volta che si indurisce il programma di austerità», dice dal canto suo Michel Fried, economista del Laboratoire Social d’Action, «la recessione viene aggravata. Il 60% delle esportazioni della economia europee avvengono nella zona euro. Se tutti questi Paesi applicano l’austerità nello stesso momento...».

Non è possibile che questa verità sfugga nei piani alti dello ESM, e della Banca Centrale. Lo sanno benissimo. Per questo è più chiaro che il loro scopo non è il «risanamento» delle economie, la «riforma» delle spese pubbliche, la «competitività» da aumentare, bensì la presa del potere da parte dei poteri forti.

Essi approfittano della ricorrente crisi della democrazia, del discredito in cui sono caduti i governi e i parlamenti per loro colpa, per porsi come salvatori «tecnici», insomma per il loro colpo di Stato.

Sanno che avvenne lo stesso nel 1929-33 in Germania. Stanno applicando la stessa «cura» con cui il cancelliere Bruening (2) cercò di obbligare la Germania a servire il debito del settore industriale, che s’era indebitato a credito – con dollari roventi americani, attratti dai più lucrosi tassi d’interesse vigenti in Germania che si stava ricostruendo dopo la Grande Guerra – comprando terreni sopravvalutati (la bolla), impianti per «razionalizzare» la produzione, ossia aumentando la «produttività» con meno lavoratori. Industrie ad alta intensità di capitale scoprirono presto il lato oscuro della loro forza: le merci che producono, sempre più abbondanti, trovano sempre meno compratori, perchè i consumatori-lavoratori avevano perso potere d’acquisto.

I prezzi industriali calarono: s’innescava il ciclo tragico della deflazione. Nel 1931, nel disperato tentativo di sostenere i prezzi, gli industriali tedeschi ridussero la loro produzione di merci (in America, si gettarono a mare migliaia di tonnellate di granaglie e di latte, per sostenere i prezzi, mentre i disoccupati morivano di fame: la legge del «mercato» esigeva di ridurre l’offerta). Ma in Germania, siccome i costi fissi incomprimibili (interessi sul debito, tasse, ammortamenti, affitti) venivano così divisi tra un numero minore di beni, il costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profitti calanti, fino a divorarli.

Il sistema era ultra-liberista. La ricetta dell’ultraliberismo, allora come oggi, prescriveva: risparmiare il «costo fisso» del lavoro, il solo comprimibile. I lavoratori furono licenziati in massa. Ovviamente, non funzionò: per ogni lavoratore licenziato, era un consumatore che spariva.

Nel corso del 1931, molti industriali tedeschi non furono più in grado di pagare i debiti. «I cosiddetti costi incomprimibili erano diventati insopportabili, e cessarono di essere pagati». Con l’insolvenza dei debito, cominciarono i crack delle banche. Il cancelliere Bruening, andato al potere nel 1930, spese miliardi per salvarle: il libero mercato non si applica più, quando a soffrire è l’usuraio.

Allora torna di moda «l’intervento pubblico nell’economia». La mano invisibile del mercato viene sostituita dalla mano pesante dello Stato, a difesa dei creditori. Bruening lanciò la sua politica anti-deflazionista, secondo i dettami del liberismo: per legge, decretò un taglio generale dei salari del 15% (lo stesso che viene imposti ai greci, oggi).

Il calcolo era che, ridotto al lumicino il potere d’acquisto dei lavoratori, anche i prezzi sarebbero calati. La fame della classe operaia parve un prezzo agevole da pagare, per questo «risanamento» deflazionista. I prezzi non calarono, perche erano determinati da fattori ben diversi che i salari: essenzialmente, il costo del debito contratto per modernizzare, razionalizzare, retribuire il capitale a spese del lavoro.

Sette milioni di lavoratori – un terzo della forza produttiva – era disoccupato. La classe media spazzata via. L’economia tedesca era stata, solo un anno prima, un modello di prosperità capitalista in pieno boom, era ora devastata.

Anche allora, la democrazia s’era screditata fino all’impresentabilità, perchè s’era asservita al «mercato».

Il numero dei deputati nazisti passò da 8 a 107. Nel 1933, fu nominato cancelliere Adolf Hitler. Il suo programma, più volte esplicitato nei discorsi, affermava la centralità del lavoro nei confronti dei mezzi monetari, meramente strumentali: «La forza del lavoro germanico è il nostro oro. Solo il lavoro crea nuovo lavoro. Non è assolutamente il denaro che lo crea».

In pochi anni, violando tutti i dogmi liberisti, il nazismo assorbì completamente la disoccupazione e salvaguardò il potere d’acquisto dall’inflazione. Ma ovviamente le banche erano state asservite. La legge del 4 dicembre 1934 vietava alle banche di concedere prestiti sproporzionati rispetto alle riserve, fissandoli nel rapporto da 1 a 5. Le «operazioni rischiose» furono vietate, così come «la concorrenza sregolata e nociva», riportando il credito al suo compito ausiliario di «fissare una liquidità conveniente».

I poteri forti transnazionali hanno la loro memoria storica. Sanno che sono di nuovo a questo punto. Sanno che la crisi della democrazia, il suo screditamento senza ritorno, è propizio all’emergere dell’uomo forte che li sbatte fuori dai profitti, che impone il controllo di Stato sui mercati.

Allora hanno anticipato i tempi: la democrazia fa schifo? Eccovi l’uomo forte, ve lo diamo noi: Monti, Papademos, Draghi, Goldman Sachs... Va bene abolire la democrazia, purchè siamo «noi» a farlo.





1) Quando si guarda la situazione debitoria italiana, ci si trova davanti a un insolubile dilemma: da una parte si devono criticare le misure di austerità, i tagli e rigori impostici dai creditori internazionali attraverso il loro governo (Monti), perchè è ovvio che tagli e rigori riducono i consumi, aggravano la recessione, stroncando la crescita e dunque finendo per aumentare il debito pubblico, e più insostentibile il suo servizio. D’altra parte, gran parte della spesa pubblica italiana (almeno i 30% dei 770 miliardi) è puro spreco, corruzione, parassitismo e clientelismo, che occorrerebbe effettivamente tagliare senza pietà. Non è certo un caso se in Francia un chilometro di ferrovia ad alta velocità costa quasi dieci volte meno che in Italia; al punto che non si costruiscono più infrastrutture necessarie, perchè il sistema delle tangenti le ha rese prima proibitive, ed oggi è arrivato alla paralisi. Al punto da rendere auspicabile che non si comincino grandi opere (vedi Olimpiadi di Roma), sapendo che la torma divoratrice dei «politici» aprirebbe un buco nero incolmabile di inutilità edificatorie, subito in rovina perchè i marpioni hanno risparmiato il cemento per abbondare in mazzette. In Paesi come la Spagna o la Gran Bretagna, i tagli alla spesa pubblica incidono sulla carne viva; da noi inciderebbero solo sul grasso malsano, sul colesterolo cattivo. Ma come ovvio, nemmeno il governo Monti taglia quel grasso. Il licenziamento dei 10 mila 500 forestali della Calabria, anzi la loro incriminazione (sono malavitosi assenteisti, inadempienti parassiti cronici che la Ndrangheta ha fatto assumere in Regione), farebbe risparmiare 160 milioni l’anno; da solo, questo provvedimento farebbe di più per la crescita che la «liberalizzazione» dei taxi. È solo un esempio fra mille, sarebbe possibile tagliare 200 miliardi di spesa pubblica senza incidere sul funzionamento dei pubblici uffici, anzi migliorandolo. Ma Monti ha scelto la via più facile. La solita: aggravare le tasse anzichè tagliare le spese parassitarie. Ma così non ci sarà alcun «risanamento»,
«snellimento, «liberalizzazione».
2) È stato Paul Krugman a denunciare nelle attuali austerità imposte agli europei la «cura» di Bruening e i suoi effetti politici: «It was the Brüning deflation, not the Weimar inflation, that brought you-know-who to power». È stata la deflazione di Bruening, non l’inflazione di Weimar, a portare al potere chi sapete. (Effedieffe)