venerdì 27 aprile 2012

Antichità. I tesori che l'Italia non rivendica

Fabio Isman
Il Messaggero 21/4/2012
A Madrid vasi scavati clandestinamente ma dal 2004 nessuna mossa dello Stato

L’Italia stenta parecchio a rivendicare le antichità che le sono state sottratte, dal 1970 scavate clandestinamente dal sottosuolo (un milione e mezzo di reperti, da valutazioni dell'Università di Princeton), e poi avviate ad un mercato internazionale assai lucroso: soltanto i circa 200 oggetti restituiti al nostro Paese dai musei americani e da rari collezionisti o mercanti valgono, calcola il Los Angeles Times, almeno un miliardo di dollari. Però tantissimo c'è ancora da fare, e i governi sembra che se ne siano dimenticati. Per esempio, c'è una vicenda singolare. Nel 1999, il museo archeologico di Madrid acquista la parte antica di una (dice Art-News) delle 200 maggiori collezioni al mondo. Quella di José Luis Vàrez Fisa, formata dal 1984, con acquisti soprattutto alle aste: 181 oggetti del bacino mediterraneo (anche etruschi e magnogreci), dal V secolo a.C. al V dopo, pagati 12 milioni di euro dalla Spagna, ma sovrastimati fino a dieci volte i prezzi correnti, dice un docente di Barcellona, José Manuel Cruz Valdovinos. Vengono esposti nel 2004. Ma, osservando il catalogo, due studiosi italiani si accorgono che almeno 22 reperti, appena scavati (prima del restauro, ancora sporchi di terra), erano già nelle foto di due famosi trafficanti, frattanto processati in Italia: Gianfranco Becchina e Giacomo Medici, condannato in via definitiva a otto anni e a dieci milioni da versare allo Stato, soltanto come provvisionale. Foto sequestrate nel 1985 e nel 2001, nei caveau di Ginevra e Basilea. Gli archeologi romani Daniela Rizzo e Maurizio Pellegrini ne informano il ministero. Ma invano: non succede nulla. La notizia è pubblicata con grande clamore sui giornali, anche internazionali, a luglio 2010. Giorni fa, l'archeologo José Maria Luzón Nogué, direttore del Prado dal 1994 al 1996, a un convegno chiede a José Fumanal, vicedirettore generale spagnolo delle Belle arti, notizie di quei vasi. E si sente rispondere: «Le leggi di restituzione esistono, ma l'Italia non ci ha richiesto nulla». Qualcosa pare che si sia fatto: i carabinieri del Comando per la tutela hanno verificato il catalogo; Maurizio Fiorilli, vice avvocato generale dello Stato, ha chiesto al ministero di occuparsene. E basta. Quando il ministro Lorenzo Ornaghi l'ha saputo da Louis Godart, consigliere culturale del Quirinale, era stupito. Uno degli oggetti è ritratto nel laboratorio di Fritz e Harry Biirki: gli stessi che hanno restaurato il celebre cratere di Eufronio con La morte di Sarpedonte restituito dal Metropolitan di New York, e oggi a Villa Giulia. Ma, per carità, non è certo l'unico caso. Ancora nel 2009 (perché la Grande Razzia non è finita: continua a produrre effetti perversi, è il terzo mercato clandestino mondiale, dopo la droga e le armi), 1'Art Institute di Chicago ha comperato un'anfora etrusca a figure nere, finita nella black list, creata dall'Associazione dei direttori di museo americani l'anno prima, in cui inserire gli oggetti senza un passato, se non il buio degli scavi di frodo e provenienze quanto mai incerta. Infatti, il vaso è stato acquistato a un'asta di Christie's, a New York. Ma prima, è transitato per il Giappone: l'avevano Tosca Fujita e il Kurashiki Ninagawa Museum, nella provincia di Okayama: due ottimi clienti proprio di Becchina. Poi, è passato ai fratelli libanesi Hisham e Ali Aboutaam, entrambi coinvolti nelle vicende della Grande Razzia e già sodali di Medici. Indagati in Egitto, Iran e altrove, perquisiti in Svizzera dall'allora Pm Paolo Giorgio Ferri, hanno restituito «volontariamente» all'Italia 241 antichità, per il valore di 2,4 milioni di dollari. Che per questo genere di cose si usino le case d'asta, non deve stupire: quelle Sotheby's di antichità a Londra, annoveravano come miglior cliente proprio Medici (205 antichità messe in vendita in due sole aste), e per questo sono state sospese nel 1997; l'anno dopo, Becchina chiede 320 franchi svizzeri a quella di New York, per foto d'oggetti messi in vendita e non restituite. Nella black list sono finiti anche due scudi del VI sec. a.C., con la testa di Acheloo, scavati in Etruria e del diametro di quasi mezzo metro: acquisiti nel 1998 dal museo di Dallas, tramite Edoardo Almagià, mercante assai noto a Roma ed attualmente sotto inchiesta. Nel medesimo anno, e allo stesso museo, Almagià ha ceduto anche un cratere in terracotta pugliese a volute, alto quasi un metro, pure lui ormai nella famosa lista nera americana, e non ancora restituito. Non sono nemmeno iniziate le rivendicazioni nei confronti di alcuni musei giapponesi, che, dai documenti Becchina, vantano centinaia di oggetti scavati di frodo nel nostro Paese. Dagli atti processuali, i carabinieri sanno dove sono situate varie migliaia di antichità strappate al sottosuolo della Penisola; ma se l'Italia non le reclamerà, come ha fatto finora con gli oggetti acquistati da Madrid, difficilmente, un giorno, le potremo rivedere a casa. I ritorni volontari sono terminati da tempo: ormai, i musei restituiscono soltanto quando ne sono proprio costretti dall'evidenza, o dalle minacce processuali. Molti Paesi hanno mutato le loro norme, ma il nostro ancora no; e i processi, come quello True, finiscono quasi sempre in prescrizione. Qualcosa bisognerà pur fare, no? 


http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=95199 

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