domenica 29 aprile 2012

Ratzinger grazia i preti ribelli

PRIMA o poi doveva accadere, prima o poi il papa avrebbe detto la sua sulle proteste dei parroci in Austria. L'appello alla disobbedienza contro il no al sacerdozio femminile, alla comunione per i divorziati risposati e al celibato facoltativo dei preti non sono più una questione di Vienna e dintorni. Anche in Irlanda, Francia e Germania altri sacerdoti hanno fatto proprie le riforme della Pfarrer Initiative. L'ultima frontiera a cadere è stata la Slovacchia, dove il Forum teologico cattolico si è schierato a fianco dei 4oo parroci austriaci (su un totale di 2.000) in stato di agitazione. Impossibile che Benedetto XVI rimanesse in silenzio ancora a lungo davanti all'internazionalizzazione della rivolta.

Per provare a sedare le proteste Ratzinger non ha scelto un'omelia a caso. Ha preso l'argomento durante la messa crismale, quella nella quale i sacerdoti rinnovano gli impegni assunti con la sacra ordinazione. In primo luogo, l'obbedienza al magistero della Chiesa. <Di recente - ha scandito il papa - un gruppo di sacerdoti in un Paese europeo ha pubblicato un appello alla disobbedienza, portando al tempo stesso anche esempi concreti di come possa esprimersi questa disobbedienza, che dovrebbe ignorare addirittura decisioni definitive del magistero, come, ad esempio, sulla questione dell'ordinazione delle donne>.

Ma la disobbedienza è la via per rinnovare la Chiesa? La domanda di Benedetto XVI ha riecheggiato in San Pietro. Don Lorenzo Milani, ribaltando il quesito, avrebbe risposto che <l'obbedienza non è più una virtù>. Frase celebre che Ratzinger non farà mai sua. Il papa non è il prete di Barbiana. È l'ex prefetto della Congregazione della fede, strenue difensore dell'ortodossia, il cardinale che sanzionò teologi eterodossi del calibro di Leonardo Boff, Gustavo Gutierrez e Hans Kung. In lui convivono rigore e disciplina in abiti gentili e miti.

Ora i tempi, però, sono cambiati. Il ruolo di Ratzinger è diverso. E la vicenda dei parroci austriaci è lì a dimostrarlo. Nell'omelia crismale Benedetto XVI ha ribadito, in maniera netta, che il rinnovamento viene solo dall'obbedienza, non ha accolto nessuna richiesta degli insorti, ma, allo stesso tempo, non ha calcato la mano contro di loro, come, invece, ci si sarebbe potuto aspettare. Per i fautori dell'Appello alla disobbedienza, in stato di agiazione dal giugno scorso, niente sospensioni o scomuniche. Anzi, il teologo tedesco li ha servito un assist di non poco conto, dichiarando di  <credere agli autori di tale appello, quando affermano di essere mossi dalla sollecitudine per la Chiesa; di essere convinti che si debba affrontare la lentezza delle isituzioni con mezzi drastici per aprire vie nuove, per riportare la Chiesa all'altezza dell'oggi>. Quanto basta per spingere monsignor Helumt Schueller, già vicario generale di Vienna e oggi leader dei ribelli, a guardare il bicchiere mezzo pieno: <É stata una spiegazione aperta, non c'è stato alcun divieto e nessuna sanzione da parte del papa>.

Più del rigore potè la misericordia? Non proprio.  Benedetto XVI non ha alcuna intenzione di confrontarsi con Schueller e compagni. Lo sanno anche i vescovi austriaci che, guidati dal primate Christoph Schoenborn, a gennaio sono corsi a Roma  per fare il punto su quanto bolle nel clero di Oltrealpe. Da mesi sono impegnati in un confronto diretto con i parroci in trincea. Hanno sposato la linea del dialogo rigoroso e cordiale.

Ratzinger, però, non sarebbe intenzionato a portare la discussione in Santa Sede, sulla falsariga di quanto sta accadendo con i lefebvriani. Il papa preferisce giocare la carta della persuasione. Evitando lo strappo. Davanti al calo vertiginoso dei sacerdoti (-1.500, dal 2005 al 2009, solo in Italia) Benedetto XVI non può prendersi il lusso di scomunicare più del 20% del clero austriaco. Dietro  di loro ci sono migliaia di parrocchiani: sarebbe  un disastro. Anche il papa fa i conti, anche Ratzinger è un politico.

Giovanni Panettiere

 

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