sabato 30 giugno 2012

La famiglia Aldrovandi rimanda al mittente le scuse degli assassini di Federico

«Chiede scusa con sette anni di ritardo e lo fa solo perché stavolta lo abbiamo stanato e di lui si occuperà una commissione disciplinare ma sono sette anni che insulta Federico». Non si commuove Patrizia Moretti di fronte ai dispacci di agenzia che registrano le scuse di Paolo Forlani, uno dei quattro agenti condannati in via definitiva per l'omicidio colposo di suo figlio diciottenne.
Forlani era tornato ai clamori delle cronache per alcuni commenti su facebook in cui, continuando a dichiararsi innocenti, provava a rimettere sotto processo lo stile di vita del ragazzo incappato nel violentissimo controllo di polizia del 25 settembre 2005 ma, soprattutto, insultava Patrizia Moretti, «faccia da culo» e «comunista di merda» assieme a chiunque non abbia creduto alle versioni ufficiali della questura di Ferrara smentite in tre processi e in un'inchiesta ad hoc.

"Voglio chiedere perdono, per quel mio contegno estemporaneo ed assurdo - aveva scritto Paolo Forlani, probabilmente consigliato da un legale - alle persone che ho citato nei miei messaggi; non è per le conseguenze che potrà portare questo mio atteggiamento che chiedo scusa, ma per la reale presa di coscienza dell'errore commesso qualche giorno fa, unito all'esigenza di riprendere quel contegno silenzioso e rispettoso che ho mantenuto sempre, dal settembre 2005 sino a questi giorni". "Quelle mie espressioni sono state il frutto di una pressione che è gravata su di me per sette anni, durante i quali invano ho cercato di esprimere le mie ragioni; così, dopo l'ennesima e decisiva sconfitta mi sono lasciato andare ad un comportamento irragionevole, in preda alla rabbia verso chi non mi ha mai ascoltato e non ha capito quanto dolore avessi provato per la tragedia che era successa in via Ippodromo, rispetto alla quale avevo sempre protestato la mia assenza di responsabilità".

In verità, gli agenti condannati, specie all'inizio, non hanno sentito l'impellente bisogno di discolparsi. Di fronte al pm si avvalsero della facoltà di non rispondere e solo nella prima udienza del processo, il 24 ottobre del 2007, uno di loro lesse una dichiarazione spontanea al presidente, dei quattro imputati. Poche parole e lette da una voce diversa da quella registrata mentre spiegava alla Centrale che l'avevano «pestato di brutto per mezz'ora». Quella voce ha detto di «comprendere il dolore della famiglia Aldrovandi» ribadendo la «piena correttezza del comportamento di quella mattina». Disse anche di aver fiducia che il processo fugherà «tutte le ombre» maturate in due anni di «calvario giudiziario». Patrizia e Lino Aldrovandi dissero di sentirsi, di fronte ai quattro, nei panni di Federico. Cioè di sentirsi male.
E che le prime parole degli imputati sono parse loro «fredde, senza anima, senza corpo. In linea con la loro condotta fin qui».
 
Checchino Antonini da Globalist
 

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