domenica 30 settembre 2012

Alessandra Mussolini e la "canzone pedofila": assolta perché è parlamentare



Pubblicato  da Guido Del Duca


Nei giorni in cui si parla tanto del reato di diffamazione a mezzo stampa, grazie alla vicenda che coinvolge Alessandro Sallusti, un’altra storia di segno opposto fa capolino nelle cronache politiche. La riporta in un trafiletto Il Messaggero di oggi, e dà da pensare, oltre a far discutere sui privilegi che toccano ai nostri rappresentanti in Parlamento.
La vicenda è questa: nel 2009 Alessandra Mussolini rilasciò all’Unità un’intervista in cui se la prendeva con una canzone di Gino Paoli, Pettirosso, definendola “istigazione alla pedofilia” e dicendo testualmente “Quello è un testo pedofilo, sembra scritto da uno che conosce bene l’argomento”. Ne era seguita inevitabile la denuncia da parte del cantautore, ma ieri il tribunale di Roma non ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal pubblico ministero, disponendo il non luogo a procedere per la nipote del duce. Perché? Perché la Mussolini è un parlamentare, e le opinioni di un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni sono insindacabili.

Effettivamente la Mussolini, in qualità di presidente della Commissione Infanzia, ha titolo a parlare di argomenti che riguardano quel settore, resta però da capire quanto in là possa spingersi. Perché un conto è criticare il contenuto di una canzone, e quello è diritto di critica, un altro definirla “istigazione alla pedofilia” (che quantomeno andrebbe provata), un altro ancora insinuare neanche troppo velatamente che chi l’ha scritta sembra “conoscere bene l’argomento”. Perché ci sono pochi dubbi sul fatto che questa sia una diffamazione e non un’opinione. Ma la Mussolini è una parlamentare, e quindi può dire ciò che le passa per la testa.
La vicenda dà molto da pensare soprattutto vista la contemporaneità con la vicenda Sallusti. In quel caso il direttore di un giornale rischia la galera per omesso controllo sul contenuto di un articolo di opinione ritenuto diffamatorio, mentre con questa decisione sembra sancirsi il principio per cui qualsiasi opinione espressa da un parlamentare sia insindacabile. Se questo principio fosse stato sancito con qualche settimana d’anticipo, Renato Farina (che è anch’egli parlamentare Pdl), avrebbe potuto confessare di aver scritto l’articolo diffamatorio, senza rischiare la galera e risparmiandola a Sallusti.

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