venerdì 30 marzo 2012

Keira.............. rinnega i pirati dei Caraibi.........................



 "Ho odiato I Pirati dei Caraibi", ha preso parte alla famosa serie dei "Pirati dei Caraibi" ma pare che Keira Knightley non abbia amato troppo il suo impegno cinematografico: "Non volevo fare più l'attrice - ha dichiarato a "GQ" - non mi riconoscevo più. Adesso però sono felice. A tanta gente sarebbe piaciuto molto girare la trilogia ma io l'ho odiata".
Il lavoro era troppo e lei era confusa ("Lavoravo troppo e, soprattutto, mi domandavo: 'Chi c...o sono io?, in tutto questo che c...o di ruolo ho?'"), cosa che le è passata sul set del suo ultimo film, "A Dangerous Method": "Prima di quella pellicola non sapevo nulla di psicoanalisi - conclude -. Passare mesi a leggere è una delle cose che amo di questo lavoro".


Il flop dei Neutrini: lascia Ereditato



Dopo il flop, le dimissioni. Il fisico Antonio Ereditato, coordinatore della collaborazione Opera i cui dati nel settembre scorso hanno indicato i neutrini come più veloci della luce, ha lasciato il suo incarico.
Le dimissioni sono state presentate da Ereditato dopo la presentazione, da parte di alcuni membri di Opera, di una mozione che chiedeva la rimozione del ricercatore dalla guida della collaborazione.


Neutrini


La mozione non è passata ma ha comunque creato una spaccatura fra i ricercatori.
Intanto, a confermare che la velocità della luce resta imbattuta ci hanno pensato i nuovi dati presentati dell’esperimento coordinato da Antonino Zichichi nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).
Le misure hanno ribadito l’errore dovuto alle anomalie negli strumenti del rivelatore di neutrini Opera, segnalate nel febbraio scorso dagli stessi responsabili di Opera, guidati da Antonio Ereditato.
Dai dati è emerso che a partire dal 2008 è stato rilevato un cambiamento nei tempi di percorrenza delle particelle (chiamati tempi di volo), una differenza di nanosecondi che coincide sostanzialmente con quella che nel settembre scorso era stata rilevata nei neutrini e che aveva fatto pensare alla possibilità che queste particelle potessero battere la velocità della luce.
A metà marzo un altro esperimento dei Laboratori del Gran Sasso, Icarus, coordinato dal Nobel Carlo Rubbia, aveva dimostrato che i neutrini non sono più veloci della luce. "Quelle presentate dall’esperimento Lvd sono misure che vanno nella stessa direzione dei dati presentati da Rubbia e costituiscono una conferma dell’errore molto importante", ha rilevato il presidente dell’Infn, Fernando Ferroni.

Il muro del pianto degli stipendi

 
Roma - (Adnkronos) - Circa la metà non supera i 15.000 e solamente l'1% sfonda il tetto dei 100mila. Gli imprenditori sono i più poveri con 18.170. La media nel 2010 è stata di 19.250. Il capo dello Stato: "Dare impulso a nuove politiche per la crescita". Monti: "La recessione non ci fermerà". Cei: sacrifici siano equi, preoccupati per giovani e famiglie. Retribuzioni, Istat: a febbraio +1,4%. Inflazione stabile a marzo al 3,3%
Noi continuiamo a non capire come chi ci governa non si vergogni di come stanno mettendo alal prova gli italiani................

Yespica: 200mila euro dalla Rai per prendere il sole su un'isola di Famosi

                                  foto e speciale la Yespica su                                                                               http://les-grognards.blogspot.it/


Un nuovo scempio giunge dalla RAI.
La showgirl venezuelana Aida Yespica appare sempre sorridente durante i collegamenti con l'Isola dei Famosi. Il motivo? Forse la conquista della finale, dove al vicintore viene assicurato un premio di 200.000 euro. Oppure perché, anche perdendo la finale, avrebbe già racimolato 220.000 euro. In che modo? La Rai, secondo quanto riferisce Novella 2000, paga alla Yespica un cachet a puntata di 20.000 euro. Una cifra esorbitante, stante la crisi economica in atto e la politica di tagli adottata recentemente da viale Mazzini. "Non potendo essere gestita da Lele Mora, in carcere dallo scorso 20 giugno, la showgirl si è fatta rappresentare da Beppe Pettinato, ex uomo della scuderia di Mora. Un contratto a peso d'oro, quello che la Yespica ha portato a casa grazie al reality. In totale, per ora, 20 mila euro a puntata. Quindi Aida, indipendentemente dal monte premi finale di 200 mila euro, si è già assicurata 220 mila euro. Cifra raggiunta grazie alla permanenza sull'isola per tutte le undici puntate". Quindi facendo due conti, se al cachet si aggiungesse il montepremi, la cifra guadagnata dalla Yespica sarebbe veramente consistente. Quasi mezzo milione di euro per stare a prendere il sole su un'isola caraibica. Il tutto pagato dal servizio pubblico italico, la Rai.

giovedì 29 marzo 2012

Lo stile non stanca mai.................



Adesso gli applausi giungono da ogni parte: uno dei rarissimi casi in cui l'Italia intera della politica si ritrova unita nell'usare lo stesso alfabeto per commentare un fatto di cronaca quotidiana. Il fatto è di ordinaria attualità: lo scontro tra un manifestante No Tav (Marco Bruno, nella foto) e un poliziotto che si trovava lì per il puro svolgimento del suo lavoro. Le considerazioni sulla validità o meno della costruzione le lasciamo agli esperti; quello che colpisce è la freddezza usata dal giovane dell'Arma che agli insulti ha reagito con l'elegante silenzio di chi sta sul fronte a difendere la giustizia. Non è la prima volta che succede: ogni occasione sembra buona per assaltare la polizia, per mettersi contro chi difende la legalità, per fare della violenza l'arma migliore per cercare un possibile compromesso.
C'è da giurarci che fino a qualche mese fa questa notizia sarebbe passata in sottotono: in fine dei conti sono anni che assistiamo a scene di questo tipo. Oggi la notizia fa scalpore – e tutti tendono ad impossessarsi del copyright – perché l'Italia ha perso il senso della normalità: il gesto di un ragazzo di 25 anni con la divisa addosso diventa incredibile pur nella sua semplice quotidianità, perché una cosa normale diventa eccezionale quando viene a mancare la normalità. "Ehi, pecorella, sei venuto a sparare? Per quello che guadagni non ne vale la pena. Fatti riconoscere. Io non so chi sei. Parla. Noi ci divertiamo un sacco a guardare voi stronzi." Certo, ha ragione il manifestante (che a microfoni spenti ha detto d'aver parlato per esorcizzare la paura, ndr): vale la pena per mille euro al mese stare sul fronte di battaglia e rischiare la vita? Eppure con quei mille euro al mese – simbolo della dignità di una fetta di nazione che con quei pochi spiccioli continua a credere nel suo futuro – una famiglia campa, cerca di provvedere alle sue necessità e manda avanti la sua storia. Probabilmente quel giovane carabiniere l'ha fatto perché quello è il suo stile e c'è forse da crederci che l'ultima cosa che ha pensato – nel mezzo di un caos primordiale – sia stata l'intenzione di farlo per essere riconosciuto, stupito pure lui da così tanta attenzione: "signor generale, ho fatto solo il mio dovere. Non sono un eroe, altri colleghi avrebbero fatto lo stesso". Ogni manifestazione nasce da un qualcosa sul quale voler portare l'attenzione: alla fine sarà lo stile col quale è condotta tale manifestazione a decretare la possibilità o meno di trovare un accordo.
C'è stato un tempo in cui chi faceva il proprio dovere correva il rischio di essere messo a morte. Oggi la moda della morte è stata forse superata, siamo entrati nella fase del "mettere in ridicolo": siamo nel tempo dell'intelligenza. Cosicché il bambino che a scuola s'applica al suo dovere viene preso in giro dai compagni perché secchione; il prete che s'affatica nel suo quotidiano operare viene ritenuto ingenuo; l'operaio che s'adopra per 900 euro al mese è ritenuto un "non figlio di papà"; quel giovane calciatore che rifiuta l'offerta per truccare la partita è tacciato da "sfigato"; il commerciante che denuncia l'intero fatturato è ridicolo perché fedele allo Stato. Oggi il ridicolizzare la dignità con la quale una grossa fetta dell'Italia continua a portare avanti la sua storia è l'arma che ha in mano la Menzogna per confondere la speranza. Tre mesi fa una notizia del genere non avrebbe scombussolato più di tanto i piani alti del Potere: oggi si riservano di versare fiumi di inchiostro.
Forse pure loro si stanno accorgendo che esiste un'altra Italia alla quale dare voce: l'Italia che non smette di dimostrarsi una signora di stile. L'Italia che ha onore, rispetto e disciplina, quell'Italia che a noi piace............

Civiltà oltre lo scontro: "che Dio ci aiuti"


Gianfranco Ravasi- Il vocabolo «cultura» è divenuto ai nostri giorni una sorta di parola-chiave che apre le serrature più diverse. Quando il termine fu coniato, nel Settecento tedesco (Cultur, divenuto poi Kultur), il concetto sotteso era chiaro e circoscritto: esso abbracciava l’orizzonte intellettuale alto, l’aristocrazia del pensiero, dell’arte, dell’umanesimo.

Da decenni, invece, questa categoria si è «democratizzata», ha allargato i suoi confini, ha assunto caratteri antropologici più generali, sulla scia della nota definizione creata nel 1982 dall’Unesco, tant’è vero che si adotta ormai l’aggettivo «trasversale» per indicare la molteplicità di ambiti ed esperienze umane che essa «attraversa». È in questa luce che si comprendono le riserve avanzate dal sociologo tedesco Niklas Luhmann, convinto che il termine «cultura» sia «il peggiore concetto mai formulato», e a lui farà eco il collega americano Clifford Geertz quando affermerà che «esso è destituito di ogni capacità euristica».

Eppure, questa genericità o, se si vuole, «generalismo» ci riporta alla concezione classica allorché in vigore erano altri termini sinonimici molto significativi: pensiamo al greco paideia, al latino humanitas, o al nostro «civiltà» (preferito, ad esempio, da Pio XII). È in questa prospettiva più aperta che la parola «cultura» è stata accolta con convinzione dal Concilio Vaticano II che, sulla scia del magistero di Paolo VI, la fa risuonare ben 91 volte nei suoi documenti. Al concetto di «cultura» che ha sollecitato infinite riflessioni e precisazioni, si deve associare quello di «acculturazione» o «inculturazione», che un saggio dell’American Anthropologist del 1935 così delineava: «Si tratta di tutti quei fenomeni che hanno luogo quando tra gruppi di individui con culture diverse intercorrono per lungo tempo dei contatti primari, provocando una trasformazione nei modelli culturali di un gruppo o di entrambi i gruppi».

Tendenzialmente il termine volse verso un’accezione negativa: la cultura egemone non si piega a un’osmosi, ma cerca di imporre il suo marchio a quella più debole, creando uno shock degenerativo e una vera e propria forma di colonialismo. Se si vuole essere meno astratti, si pensi all’ideologia eurocentrica che ha imposto non solo la sua «eredità epistemologica», ma anche il suo modello pratico ed economico al «sistema mondo», rivelandosi spesso in Africa e in Asia come l’interfaccia del colonialismo. In questo processo anche il cristianesimo fu trascinato a diventare una delle componenti acculturanti. Si comprende, così, il fenomeno di reazione costituito dai movimenti «revivalisti» o da forme di etnocentrismo, nazionalismo, indigenismo, fenomeno così vigoroso da aver spinto non pochi osservatori a variare la terminologia da «globalizzazione» in «glocalizzazione».

È con questo antefatto che si spiega perché la Chiesa contemporanea abbia preferito evitare il termine «acculturazione» sostituendolo con «inculturazione» per descrivere l’opera di evangelizzazione. Il vocabolo «inculturazione» si è, così, connotato soprattutto a livello teologico come segno di compenetrazione tra cristianesimo e culture in un confronto fecondo, gloriosamente attestato dall’incontro tra la teologia cristiana dei primi secoli e la poderosa eredità classica greco-romana. Fu proprio in quel Settecento tedesco, nel quale – come si è detto sopra – si era coniato il termine Cultur/Kultur, che si iniziò anche a parlare di «culture» al plurale, gettando così le basi per riconoscere e comprendere quel fenomeno che ora è definito come «multiculturalità».

Ad aprire questa via, che superava il perimetro eurocentrico e intellettualistico e si inoltrava verso nuovi e più vasti orizzonti, era stato Johann Gottfried Herder con le sue Idee sulla filosofia della storia dell’umanità (1784-91), lui che tra l’altro si era già dedicato nel 1782 allo Spirito della poesia ebraica. L’idea, però, balenava ancora nel pensiero di Vico, Montesquieu e Voltaire che riconoscevano nelle evoluzioni e involuzioni storiche, negli stessi condizionamenti ambientali, nell’incipiente incontro tra i popoli, al seguito delle varie scoperte, nelle prime osmosi ideali, sociali ed economiche, l’emergere di un pluralismo culturale.

Certo, questo approccio si innestava all’interno di una dialettica antica, quella che – con qualche semplificazione – vedeva incrociarsi etnocentrismo e interculturalità. È stata costante, infatti, l’oscillazione tra questi due estremi e noi ne siamo ancor oggi testimoni. L’etnocentrismo si esaspera in ambiti politici o religiosi di stampo integralistico, aggrappati fieramente alla convinzione del primato assoluto della propria civiltà, in una scala di gradazioni che giungono fino al deprezzamento di altre culture classificate come «primitive» o «barbare».

Lapidaria era l’affermazione di Tito Livio nelle sue Storie: «Guerra esiste e sempre esisterà tra i barbari e tutti i greci». Questo atteggiamento è riproposto ai nostri giorni sotto la formula dello «scontro di civiltà», codificata nell’ormai famoso saggio del 1996 del politologo Samuel Huntington, scomparso nel 2008, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale.

In questo testo erano elencate 8 culture (occidentale, confuciana, giapponese, islamica, hindu, slavo-ortodossa, latino-americana e africana), enfatizzandone le differenze, così da far scattare nell’Occidente un segnale d’allarme per l’autodifesa del proprio tesoro di valori, assediato da modelli alternativi e dalle «sfide delle società non-occidentali». Significativa in questa visione era l’intuizione che, sotto la superficie dei fenomeni politici, economici, militari, si aveva uno zoccolo duro e profondo di matrice culturale e religiosa. Certo è, però, che, se si adotta il paradigma dello «scontro delle civiltà», si entra nella spirale di una guerra infinita, come già aveva intuito Tito Livio.

Ai nostri giorni tale modello ha fortuna in alcuni ambienti, soprattutto quando si affronta il rapporto tra Occidente e islam, e può essere adattato a manifesto teorico per giustificare operazioni politico-militari di «prevenzione», mentre in passato avallava interventi di colonizzazione o colonialismo (già i Romani erano in questo maestri). La prospettiva più corretta sia umanisticamente sia teologicamente è, invece, quella dell’interculturalità, che è un ben differente approccio alla «multiculturalità». Esso si basa sul riconoscimento della diversità come una fioritura necessaria e preziosa della radice comune «adamica», senza però perdere la propria specificità.

Si propone, allora, l’attenzione, lo studio, il dialogo con civiltà prima ignorate o remote, ma che ora si affacciano prepotentemente su una ribalta culturale finora occupata dall’Occidente (si pensi, oltre all’islam, all’India e alla Cina), un affacciarsi che è favorito non solo dall’attuale globalizzazione, ma anche da mezzi di comunicazione capaci di varcare ogni frontiera .

Calcio italiano: tante spese e pochi risultati................



L'indebitamento complessivo della Serie A nel 2010-2011 è di 2,6 miliardi di euro ed è in aumento del 14% rispetto all'anno precedente (2,3). E' questo uno dei dati del 'Report Calcio 2012', il rapporto presentato stamani all'Abi a Roma, da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers, sulla situazione economica del calcio.
Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers sono i tre soggetti che hanno promosso lo studio. I debiti finanziari pesano per il 35% (27% nel 2009-2010), 16% quelli commerciali (15% la stagione scorsa), 21% i debiti verso enti settore specifico (12% nel 2009-2010), il rimanente 28% si riferisce agli altri debiti (46% nel 2009-2010).

Addio Adrienne Rich!



Adrienne Rich è spirata il 27 marzo 2012, nella sua casa di  santa Cruz, in California, a causa di complicazioni da artrite  reumatoide di cui era sofferente da  tempo stando al comunicato  del  figlio, Pablo Conrad.

Adrienne Rich.nacque a Baltimora il 16 maggio1929 era una poetessa, saggista, insegnante e femminista statiunitense.Si laureò nel 1951 al Radcliffe College e, nello stesso anno, vinse il premio Yale Series of Younger Poets per i poeti emergenti. Questo riconoscimento le permise di pubblicare il suo primo libro, A Change of the World. W. H.Auden che presiedeva la giuria quell'anno scrisse l'introduzione al volume.
L'anno seguente ricevette una borsa di studio per viaggiare in Europa. Nel 1953 sposò l'economista Alfred Conrad e due anni dopo pubblicò il suo secondo libro, The Diamond Cutters. È solo con il terzo libro Snapshots of a Daughter-in-Law del 1963 che fu riconosciuta come una delle scrittrici più importanti a livello nazionale per la sua voce poetica e per i temi femministi dei suoi testi.
Con i tre figli, Rich e Conrad si trasferirono nel 1966 a New York dove venneroo a contatto con l'attivismo sociopolitico del periodo. I suoi libri di quegli anni (Necessities of Life, 1966; Leaflets, 1969; Will to Change, 1971) rifletterono questo fermento politico e culturale. Nel 1969 Rich si allontanò dal marito e diventò attivista dei movimenti di liberazione femminista. Nel 1974 il volume Diving Into the Wreck ricevette il «National Book Award for Poetry», prestigioso premio statunitense per la poesia. Rich rifiutò di ritirare il premio a titolo personale e decise di accettarlo, insieme ad altre due poetesse, a nome di tutte le donne che restano in silenzio.
Le posizioni radicali femministe di Adrienne Rich si consolidarono quando si dichiarò lesbica nel 1976, anno che vide la pubblicazione del controverso e innovativo volume Nato di Donna a cui fa seguito l'anno seguente Twenty-One Love Poems, poi incluso in Dream of a Common Language del 1978. È di questo periodo il più importante e influente contributo da saggista di Adrienne Rich, Compulsory Heteresexuality and Lesbian Existence.
Nel 1997 rifiutò la «National Medal of Arts» affermando che non poteva accettare un premio della presidenza Clinton in quanto «l'arte, per come la concepisco io, è incompatibile con la politica cinica di questa amministrazione». Nello stesso discorso la poetessa affermava che «l'arte non significa nulla se serve semplicemente ad abbellire la tavola del potere che la tiene in ostaggio».
Dal 1999 viveva a Santa Cruz, in California, con la compagna Michelle Cliff, a sua volta romanziera, poetessa e accademica. Le due donne stavano insieme dal 1976. Nel febbraio del 2003, Adrienne Rich e altri poeti, per protestare contro la guerra in Iraq, rifiutarono di partecipare a una conferenza alla Casa Bianca sul tema Poetry and the American Voice.

Opere

Poesia

  • A Change of World (Yale UP, 1951)
  • The Diamond Cutters and Other Poems (Harper, 1955)
  • Snapshots of a Daughter-in-Law: Poems, 1954-1962 (Harper, 1963; rev. ed., Norton, 1967)
  • Necessities of Life (Norton, 1966)
  • Leaflets: Poems, 1965-1968 (Norton, 1969)
  • The Will to Change: Poems, 1968-1970 (Norton, 1971)
  • Diving into the Wreck: Poems, 1971-1972 (Norton, 1973)
  • Poems: Selected and New, 1950-1974 (Norton, 1974)
  • Twenty-One Love Poems (Effie's Press, 1977)
  • The Dream of a Common Language: Poems, 1974-1977 (Norton, 1978)
  • A Wild Patience Has Taken Me This Far: Poems, 19 78- 1981 (Norton, 1981)
  • Sources (Heyeck Press, 1983)
  • The Fact of a Doorframe: Poems Selected and New, 1950- 1984 (Norton, 1984)
  • Your Native Land, Your Life (Norton, 1986)
  • Time's Power: Poems, 1985-1988 (Norton, 1988)
  • An Atlas of the Difficult World: Poems, 1988-1991 (Norton, 1991)
  • Collected Early Poems, 1950-1970 (Norton, 1993)
  • Dark Fields of the Republic, 1991-1995 (Norton, 1995)
  • Midnight Salvage: Poems 1995-1998 (Norton, 1999)
  • Fox: Poems 1998-2000 (Norton, 2001)
  • The School Among the Ruins: Poems 2000-2004 (Norton, 2004)
  • Telephone Ringing in the Labyrinth: Poems: 2004-2006 (Norton, 2007)

    Saggistica

    • Of Woman Born: Motherhood as Experience and Institution (Norton, 1976, rev. ed., 1986)
    • On Lies, Secrets and Silence: Selected Prose, 1966- 1978 (Norton, 1979)
    • Blood, Bread and Poetry: Selected Prose, 1979-1986 (Norton, 1986)
    • What Is Found There: Notebooks on Poetry and Politics (Norton, 1993)
    • Arts of the Possible: Essays and Conversations (Norton, 2001)
    • Poetry and Commitment: An Essay (Norton, 2007)

      Traduzioni italiane

      • "Come la tela del ragno. Poesie e saggi di Adrienne Rich", a cura di Camboni M., Euroma La Goliardica , 1985, Pagine: 244 ,
      • Adrienne Rich, "Segreti, silenzi, bugie : il mondo comune delle donne", La Tartaruga, 1982.
      • Adrienne Rich, "Nato di donna", Garzanti (Gli Elefanti Saggi), 1996, 
      • Adrienne Rich, "Cartografie del silenzio", a cura di Maria Luisa Vezzali, Crocetti, 2000, pp. 244, 
      • Adrienne Rich, "Eterosessualità obbligatoria ed esistenza lesbica", pubblicato nel (numero monografico della rivista Dwf del 1985 dedicato alle “ricerche americane sull’esistenza lesbica”), n. 23-24, pp. 5-40, 1985 (apparso precedentemente in versione ridotta nei numeri 3 e 4 di Effe marzo e aprile 1981), Traduzione di Maria Luisa Moretti; trascrizione di Nerina Miletti.
      • Adrienne Rich, "La politica del  posizionamento", in «Mediterranean», n.2, 1996, pp.15-22, (ed. or. "Notes Toward a Politics of Location", in EAD., Blood, Bread and Poetry: Selected Prose 1979-1985, Virago, London 1987).
      • Adrienne Rich, "La guida nel labirinto", a cura di Maria Luisa Vezzali, Crocetti, 2011, pp. 160,

        Su Adrienne Rich 

      • Paola Zaccaria, "A lettere scarlatte: poesia come stregoneria. Emily Dickinson H(ilda) D(oolittle) Sylvia Plath Anne Sexton Robin Morgan Adrienne Rich (e altre...)", FrancoAngeli edizioni, 1ª edizione 1995,

       



                                                                                                                                         Fenix




MACELLERIA SOCIALE

Bologna, uomo si dà fuoco davanti Agenzia delle Entrate: gravissimo

Roma, 28 mar. (Adnkronos Salute) - Si è dato fuoco questa mattina dentro una vettura davanti alla sede della Agenzia delle entrate a Bologna. L'uomo, 58 anni, è stato trasportato in elisoccorso a Parma.
 

A dare l'allarme è stato un passante. Gli agenti della polizia municipale lo hanno trovato, intorno alle 8.20, fuori dalla sua auto in fiamme, parcheggiata in via Nanni Costa, nel piazzale davanti all'Agenzia delle Entrate di Bologna.

L'uomo è stato trasportato all'ospedale Maggiore in codice rosso all'ospedale Maggiore di Bologna, da qui è stato ricoverato "in gravissime condizioni" in rianimazione al Centro Hub per la terapia delle grandi ustioni di Parma. A quanto si apprende dalla struttura sanitaria di Parma, "il paziente presenta ustioni quasi del 100%".
Secondo una prima ipotesi si potrebbe trattare di un tentativo di suicidio per ragioni legate a debiti, probabilmente anche con il fisco.

http://it.notizie.yahoo.com/bologna-uomo-si-d%C3%A0-fuoco-davanti-agenzia-delle-114700173.html?nc

 

Hacker troppo in gamba...

Fbi, non vinciamo guerra contro hacker

Lo dice massimo esperto cybersicurezza dell'agenzia Usa

NEW YORK, 28 MAR - Nella partita contro gli hacker gli Usa "non stanno vincendo": l'attuale approccio pubblico e privato è insostenibile. I criminali del web sono troppo bravi, le misure per difendersi dai loro attacchi troppo deboli. Lo confessa Shawn Henry, numero 1 dell'Fbi per la lotta al crimine sul web. Per Henry, che lascia l'Fbi dopo 20 anni per una società privata come responsabile della sicurezza informatica, le aziende debbano apportare importanti cambiamenti nel loro modo d'uso dei network. (ANSA)

mercoledì 28 marzo 2012

Ustica: stop ai risarcimenti



Approfondimento su Ustica:                   http://les-grognards.blogspot.it/
 

La vicenda di Ustica e della strage del DC9 sembra non avere mai fine. Dopo lungaggini processuali ora le problematiche burocratiche legate alla crisi economica.
Nessun risarcimento, almeno fino al 2015. La prima sezione civile della Corte d’appello di Palermo, sciogliendo la riserva, ha sospeso l’esecutività della sentenza che imponeva un risarcimento di oltre cento milioni a carico dei ministeri della Difesa e dei Trasporti per gli 89 familiari delle vittime della strage del DC 9 inabissatosi nel mare di Ustica il 29 giugno dell’80.
La Corte ha quindi rigettato l’istanza dei legali dei familiari delle vittime che chiedevano l’immediata liquidazione anche con buoni del tesoro per non incidere troppo sulle casse dello Stato, rinviando al 15 aprile del 2015. Lo scorso settembre i ministeri della Difesa e dei Trasporti furono condannati dal Tribunale al risarcimento di centodieci milioni di euro in favore dei parenti di una quarantina di passeggeri deceduti. La Corte, presieduta da Rocco Camerata Scovazzo, ha quindi imposto uno stop ai risarcimenti fissati dal Tribunale, che aveva ritenuto i ministeri responsabili di non avere garantito la sicurezza del volo e di avere negato ai familiari delle vittime il diritto alla verità sulla strage per oltre 20 anni. Per i giudici d’Appello sussistono infatti «gravi motivi che giustificano la sospensione dell’esecutività della sentenza per il grave danno che il debitore potrebbe ricevere a fronte peraltro di un’impugnazione che non evidenzia profili di evidente infondatezza».
La sentenza d’appello potrebbe aprire nuove strade per la ricerca della verità. Infatti, secondo i legali, fu un missile, forse francese, ad abbattere il volo del DC9 Itavia, come alcuni testimoni, tra cui l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, hanno affermato durante il processo.

Russia: casa dolce casa


Secondo un sondaggio del Vtsiom diminuisce il numero di russi che si dice pronto ad emigrare: solo l'11 per cento si dichiara favorevole a lasciare il Paese. Una percentuale inferiore anche a quella registrata nel 1991
Andarsene dalla Russia? No, grazie. Buona parte dei cittadini della Federazione ama il proprio Paese, e non sogna una vita all’estero. È questo il risultato di un sondaggio elaborato dal Centro di Ricerche Vtsiom che, conducendo l’indagine in 46 diverse regioni del Paese, ha indagato gli animi di 1600 potenziali emigranti.

Un risultato che si dimostra in netta controtendenza rispetto al 2011: la percentuale di russi che si dice intenzionata o molto invogliata a lasciare il Paese è dimezzata, passando dal 22 per cento dell’anno scorso all’11 per cento del 2012.

Un calo significativo, addirittura più basso dell’andamento registrato nel 1991 con il tramonto dell'Unione Sovietica, quando il 16 per cento della popolazione si era detto favorevole ad andarsene all’estero.

Secondo lo studio, i potenziali migranti sarebbero in buona parte giovani tra i 18 e i 24 anni, anche loro però in calo rispetto al 2011, diminuiti dal 39 per cento del 2011 al 25 percento del 2012.

Monti: "licenziare è difficile".................. senza parole

 

Ancora una volta il presidente del consiglio non tutela la popolazione ma i poteri forti!

 "Le imprese hanno paura di assumere perche' e' molto difficile licenziare, anche per ragioni economiche". Ecco uno dei motivi a sostegno della necessita' della riforma del mercato del lavoro, come la spiega Mario Monti nella sua 'lecture', in inglese, a una platea di 600 osservatori selezionati dal gruppo editoriale Nikkei Shimbun.
E' a loro che il presidente del Consiglio spiega la situazione politica, economica e istuzionale dell'Italia, con una riflessione ad ampio raggio che spesso incrocia la riforma al centro della scena in questi giorni, il suo impatto su partiti e parti sociali e il suo grado di accoglimento nel Paese.  Noi italiani restiamo senza parole..........

Qatar: via libera al Corano per scopi curativi

 

Per marginalizzare pratiche magia nera


Il ministero per gli Affari islamici del Qatar ha autorizzato nove religiosi ad esercitare cure spirituali attraverso il "ruqyah", un rituale in cui vengono recitati dei versi del Corano a cui si attribuiscono poteri curativi. La notizia viene riportata oggi dal giornale di Doha The Peninsula. Lo scopo sarebbe quello di marginalizzare il piu' possibile la pratica della versione non musulmana di questo rituale, dal momento che l'Islam vieta gli indovini e la magia nera. (ANSA)

Lo squallore a 50 centesimi.......

Costa Concordia: cartoline con relitto........ sindaco ordina ritiro

In vendita in negozio al Giglio al prezzo di 50 centesimi


Cartoline con lo scorcio di Giglio Porto e l'immagine della Costa Concordia sullo sfondo. Sono apparse in un negozio di Isola del Giglio (Grosseto) dove sono state trovate in vendita al prezzo di 50 centesimi. Le cartoline sono state realizzate con gli scatti fotografici eseguiti a gennaio e febbraio. Il sindaco Sergio Ortelli, informato del fatto, ha predisposto un controllo immediato delle forze di pubblica sicurezza e ''l'immediato ritiro di qualsiasi materiale possa fare riferimento in modo immorale alla tragedia della Concordia''.(ANSA).
 

Pioggia tempestiva..............

 

Vivo dopo 28 giorni deriva in Pacifico

18 anni, partito da Panama, trovato a Galapagos. Beveva pioggia

Un giovane di 18 anni, Adrian Vasquez è stato salvato dopo aver trascorso 28 giorni alla deriva nel Pacifico su una barca da pesca. E' stato soccorso a nord delle Galapagos, a più di 600 chilometri da Panama, da dove era partito con due amici, morti entrambi, per una battuta di pesca per arrotondare lo stipendio.
Il sopravvissuto, che si è salvato grazie a un temporale, bevendo la pioggia, quando era al limite delle forze, è stato trasferito a Guayaquil, in Ecuador. (ANSA) 

A per Assange

 

Assange, da senatore difendero'liberta'

Intervista a fondatore Wikileaks agli arresti domiciliari in Gb

Julian Assange, se avra' successo la sua candidatura per il Senato australiano, sara' ''un fiero difensore della liberta' dei media'' e usera' le immunita' parlamentari per prevalere sugli ordini di soppressione dei tribunali e su altre ''costrizioni eccessive'' al libero accesso alle informazioni. La settimana scorsa Wikileaks ha annunciato via Twitter di aver scoperto che Assange puo' candidarsi per il Senato australiano anche se e' agli arresti domiciliari, e che ha deciso di farlo. (ANSA)
 

X Times di Febbraio. Dall'intervista a Paolo Franceschetti. La vicenda di Paolo Ferraro.

E' in edicola il numero di febbraio di X Times. In questo numero c'è un'intervista fattami da Simone Leoni. Una delle domande che mi è stata fatta è relativa a Paolo Ferraro. Pubblico qui la domanda con la mia risposta, precisando che l'intervista è di qualche mese fa, quindi nel frattempo qualche mia idea su di lui è cambiata.




D: Cosa pensi della vicenda del magistrato Paolo Ferraro?

La vicenda di Paolo Ferraro è molto complicata, e a mio parere molto diversa da come lui la racconta. Mi spiego, e cercherò di farlo in poche parole.

Paolo Ferraro è essenzialmente un magistrato onesto e bravo, che in passato ha fatto inchieste importanti e con coraggio.

Un bel giorno ha scoperto il fenomeno del satanismo, diffuso a macchia d’olio tra i colletti bianchi, e in pochi giorni si è trovato sospeso dal servizio per 4 mesi, per infermità mentale. Durante il procedimento davanti al CSM non solo non sono state considerate le prove a suo favore e le perizie che lo dichiaravano sano di mente, ma il procedimento tutto è stato una farsa.

La prima cosa che lui non ha capito è che quella sospensione era prodromica al suo assassinio; in altre parole lo avrebbero ucciso facendo poi passare la sua morte per suicidio. Avrebbero detto, come sempre succede in questi casi, che era depresso e insano di mente, come era comprovato dal procedimento davanti al CSM. Probabilmente non avendo retto per il dolore si è ucciso, avrebbero concluso i giornali.

Io credo però che la sua sospensione dalla magistratura non sia dovuta all’inchiesta sul satanismo che avrebbe voluto portare avanti. Quella potevano fermarla semplicemente archiviando tutto, come si fa in questi casi, anche perché le prove che lui aveva portato erano abbastanza deboli; o meglio, erano forti, ma se si intende questa espressione con riferimento ad un processo normale. Per un processo e una vicenda come quella che lui aveva scoperchiato, non bastavano.

Credo – e gliel’ho detto apertamente – che lo abbiano sospeso perché avrebbe potuto collegare alcuni dati emersi in sue inchieste precedenti ai dati del presente; in altre parole, Ferraro, come fanno tutti, aveva indagato su fatti importanti ma non aveva mai capito a fondo il funzionamento del sistema. E in passato, tutti i magistrati che si sono avvicinati alla verità sono morti, da Alessandrini a Borsellino, per passare da altri come Livatino.

I magistrati (come gli avvocati, i giornalisti, i criminologi, ecc...) si uccidono quando sono a un passo dalla verità ma ancora non l’hanno scoperta del tutto.

Solo che, grazie all’intervento della rete, e soprattutto di Forza Nuova che l’ha sostenuto pubblicamente, non hanno più potuto ucciderlo.

Ora Ferraro potrebbe fare molto per la società, se solo decidesse di applicare il suo intuito e le sue capacità a scoperchiare altre vicende, senza intestardirsi sulla sua.

Purtroppo a voler denunciare fatti personali poi è più facile essere attaccati.
A occuparsi di fatti diversi, invece, l’attacco è più difficile.

In realtà lui sta già facendo molto e grazie a lui tante persone si sono incuriosite, svegliate, hanno avuto voglia di approfondire.
Ma la sua azione è ancora inefficace perché non ha tempo e voglia di studiare proprio quei poteri occulti che gli hanno cambiato la vita così radicalmente.

L’altro errore che sta facendo è quello di combattere il sistema con le sue stesse armi: la politica e la giustizia (continuando a combattere in tribunale). In realtà dovrebbe dimettersi dalla magistratura senza aspettare che lo caccino loro, e trasferire la battaglia sul terreno che loro temono di più: l’informazione. Perché giudiziariamente e politicamente questi poteri sono invincibili. Quello che però non possono ostacolare, e che non ostacoleranno mai, è la verità.

Ed è con quella che si è liberi dal sistema quale che esso sia.

Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi, dice San Giovanni. E se lo dice lui, che dei Rosacroce è l’ispiratore...



Per ulteriori informazioni sulla rivista
http://ilblogdilaviniapallotta.myblog.it/

Per abbonarsi
http://ilblogdilaviniapallotta.myblog.it/list/pubblicazioni/abbonamenti.html

http://paolofranceschetti.blogspot.it/2012/02/x-times-di-febbraio-dallintervista.html#more

http://paolofranceschetti.blogspot.it/2011/04/lomicidio-massonico-parte-7-come-si.html

L'omicidio massonico parte 7. Come si occulta la verità.

E cenni sull’omicidio di Carmela Rea.

1. Premessa. 2. L'omicidio di Carmela Rea. 3. Le tecniche di depistaggio. 4. I periti. 5. Gli avvocati. 6. I magistrati. 7. Polizia e Carabinieri. 8. I criminologi. 9. I mass media. 10. Conclusioni.

1. Premessa.
E’ ormai qualche anno che cerco di studiare i delitti rituali della Rosa Rossa e una delle cose che ho cercato di capire di più era come facessero a depistare sistematicamente tutte le indagini.
Che la Rosa Rossa abbia in mano tutta la stampa, la magistratura e gli organi di polizia è evidente; ma è altrettanto evidente che il controllo di questi organi avviene non per cooptazione diretta, ma indiretta e inconsapevole. Non è possibile, infatti, che tutti gli avvocati, gli investigatori, e i giornalisti che se ne occupano siano dentro alla Rosa Rossa, anche perché nella stragrande maggioranza dei casi non hanno né l'intelligenza né la cultura per far parte di un'organizzazione del genere.

In altre parole, la maggior parte degli inquirenti, dei giornalisti e dei magistrati ignora cosa sia la Rosa Rossa e in genere non ne sospetta neanche l'esistenza.
Dopo qualche anno, dopo colloqui con carabinieri, poliziotti, periti, magistrati, giornalisti, cameramen, la risposta mi è chiara e può tracciarsi una sorta di schema, seguito ogni volta per ogni delitto.
Partiamo dall’esempio di Carmela Rea, morta di recente.
Le dichiarazioni dei criminologi intervenuti sono talmente demenziali che mi hanno ispirato questo articolo per spiegare i meccanismi di un’indagine, a grandi linee.

2. L’omicidio di Carmela Rea.
In quest’omicidio risultano chiaramente rituali sia la data della morte, sia il nome della donna, sia i riferimenti e le immagini mandate in TV. Per i lettori di questo blog tutto ciò è cosa nota quindi mi soffermo su altri particolari.
La cosa che colpisce sono le idiozie dette dai criminologi nei vari programmi TV.
E la domanda è: come è possibile che nessuno ci arrivi? Che nessuno colleghi? Che nessuno sospetti qualcosa di più?
E come è possibile dire una quantità di idiozie, come quelle che normalmente dicono i criminologi, puntualmente sempre gli stessi invitati a queste trasmissioni?
La donna è scomparsa nel pomeriggio e il cadavere è stato ritrovato solo in seguito, mentre la data della morte è quella probabilmente del giorno successivo, tra la mezzanotte e le due.
Il cadavere è stato ritrovato privo del sangue (cosa tipica di tutti i delitti rituali) il che significa che l’omicidio è avvenuto in zona diversa dal ritrovamento. La donna ha subito 35 coltellate e sul corpo ci sono anche dei segni esoterici incisi.
A fronte di queste evidenze, c’è da domandarsi come si fa a sostenere la tesi del serial killer o del delitto passionale.
Carmela infatti stava facendo una gita col marito e si è allontanata per un solo momento; dovremmo supporre che il presunto amante l’abbia stordita e portata in un altro luogo, oppure – ipotesi ancora più inverosimile – l’abbia convinto a seguirla. Lì l’abbia uccisa dopo poche ore e poi abbia portato il cadavere in un altro luogo, rischiando di essere scoperto, o fermato. Inoltre resterebbe da capire perché questo presunto amante l’abbia uccisa con 35 coltellate, alcune sferrate anche dopo la morte.
In realtà analizzando i pochi dati che ci hanno evidenziato i giornali (dati che spesso sono falsi, questo occorre dirlo, ma qui partiamo dal presupposto abbastanza improbabile che siano veri) risulta chiaro che la persona è stata uccisa con premeditazione, e probabilmente l’uccisione in un posto per poi trasportare il cadavere in un altro ha un significato ben preciso, ben diverso da quello che ha in un delitto seriale o passionale.
Peraltro, ad escludere il delitto passionale dovrebbe bastare la svastica nazista che - sempre stando a quel che dicono i giornali - sarebbe stata incisa sul corpo della donna; e sarebbe da prendere in considerazione il fatto che il corpo è stato ritrovato il 20 aprile, proprio il giorno del compleanno di Hitler.
Ma è ovvio che la verità anche questa volta non verrà mai a galla.
Cercherò di spiegare allora come funziona il meccanismo investigativo in questi casi, e come sia possibile arrivare a simili livelli di demenzialità nelle trasmissioni che si occupano della vicenda.

3. Le tecniche di depistaggio.
Per capire come si depistano le indagini in un delitto qualsiasi occorre tenere presente che l’analisi della scena di un delitto avviene in più fasi.
In un primo momento interviene generalmente la squadra volante della polizia, che fa un primo sopralluogo, con o senza il magistrato di turno. La volante fa un primo rapporto (talvolta a seconda delle zone possono intervenire i carabinieri).
Dopodiché il caso passa a chi se ne occuperà realmente; in polizia la squadra mobile. Oppure se è intervenuta per prima la caserma x dei carabinieri, il caso può passare ad una stazione diversa.
Le indagini poi sono dirette dal magistrato, e a condurre le indagini non sempre sarà quello di turno.
E poi abbiamo i periti.
Ecco quindi che l’analisi della vicenda può essere fatta da tanti soggetti diversi, con competenze diverse, e idee diverse.
Spesso è sufficiente che un solo elemento di questa vicenda sia nelle mani dell’organizzazione perché tutta l’inchiesta ne risulti inquinata e sia nell’impossibilità di proseguire correttamente.
In altre parole, non c'è bisogno di tenere sotto controllo tutti coloro che partecipano a vario titolo alle indagini, ma è sufficiente assicurarsi una complicità in uno o due punti chiave di tutta l'operazione.


4. I periti.
Il perito ha un ruolo chiave in tutta la vicenda. Il burattinaio di questi delitti infatti si assicura sempre che la perizia sia svolta o da un incompetente o da una persona interna all’organizzazione.
Se il perito stabilisce, ad esempio, che è perfettamente normale che un avvocato di 40 anni si suicidi con una calza da donna al termosifone, come l’avvocato Silvia Guerra di Macerata, il caso è chiuso.
Se il perito stabilisce, come è capitato, che è perfettamente normale che una donna si infili un coltello nel torace e non esca una goccia di sangue, il caso è chiuso. Suicidio.
Se il perito stabilisce – come nel caso di Niki Aprile Gatti – che è possibile suicidarsi con un laccio da scarpe, allora il caso è chiuso. Suicidio.
Se il perito stabilisce che ci si può suicidare con una balestra, come nel caso di Stefano Anelli, il caso è chiuso.
Se il perito stabilisce che ci si può suicidare in una doccia, come l’avvocato Antonio Colelli, il caso è chiuso.
A formare dei periti incompetenti concorre una letteratura che spesso è fuorviante; in un manuale di medicina legale, scritto da un magistrato (e non da un medico legale) e con prefazione di Pier Luigi Vigna, ad esempio, si trova scritto che è perfettamente normale che una persona si suicidi con le ginocchia che toccano terra; se poi sul corpo si troveranno dei lividi, contusioni, botte, ecc., ciò è dovuto al fatto che spesso il suicida si agita e sbatte ripetutamente contro il muro.
In altre parole, i periti che si berranno acriticamente queste idiozie, se sono poco intelligenti ripeteranno queste formulette.
I periti più bravi verranno comprati.
E quelli che non si adegueranno verranno uccisi (come Luciano Petrini, che stava facendo la perizia sulla morte del colonnello Ferraro, che si sarebbe impiccato ad un portasciugamani, a colpi di portasciugamani).
Credo ad esempio che almeno la metà dei periti che quotidianamente ci ammorbano in TV con la loro teorie assurde siano in buona fede. Molti di essi infatti appena parlano dimostrano di essere talmente incompetenti che è assai probabile che credano davvero alle idiozie che dicono. Alcuni, invece, sono dotati di grande intelligenza, come Francesco Bruno, e sono menti raffinatissime (per usare un termine di falconiana memoria). Difficile pensare che costoro caschino dal pero e non sappiano come funziona il sistema.
Anzi, probabilmente è tra alcuni di loro che si devono cercare i mandanti di certe operazioni.

5. Gli avvocati.
L’altro elemento importante per il depistaggio sono gli avvocati. Mi sono sempre domandato dove prendessero i soldi le famiglie delle vittime per farsi difendere da avvocati del calibro di Taormina, o, come nel caso di Avetrana, dall’avvocato Coppi, che è uno dei penalisti più affermati d’Italia, una cui consulenza può costare come un appartamento.
Il punto è questo.
Se l’avvocato è bravo dopo un po’ capisce il sistema e può anche arrivare alla verità.
Non a caso nella categoria degli avvocati c’è un’elevata mortalità e un alto tasso di suicidi. Tra il 2009 e il 2010 ricordo i nomi di Silvia Guerra, Giuseppe Porfidia, Antonio Colelli, Monica Anelli, Giacomo Cerqua, Massimo Buffoni, l'onorevole Fragalà, e molti altri, tutti morti in circostanze talmente assurde che nessuno crede al suicidio o all’omicidio (nel caso di Monica Anelli sarebbe stata uccisa dallo zio con una balestra).
Negli anni passati invece ricordiamo l'avvocato Masi, ucciso a Teramo a colpi di mannaia insieme alla moglie, o l'avvocato Cipolla, ucciso a Palermo a colpi di Roncola.
Nella maggior parte dei casi gli avvocati non riescono a capire il meccanismo in cui sono inseriti.
Quando iniziano ad intuire qualcosa vengono fatti fuori.
Non a caso gli incidenti a me e Solange, e i primi tentativi di eliminarci, sono avvenuti quando iniziavamo ad avvicinarci alla verità. E i primi tentati omicidi ai nostri danni sono stati compiuti ad opera probabilmente delle stesse persone che ci facevano il servizio di protezione, gli agenti della Digos. Se non da loro direttamente, comunque certamente con il loro aiuto e con la loro complicità, consistita nella sparizione di documenti, nel voluto depistaggio, nelle omissioni, ecc.
Attualmente nel mio studio legale siamo in 5, e da poco a Solange si è aggiunta un’altra persona che è scampata alla morte per un pelo sol per aver capito troppo.
Gli avvocati direttamente coinvolti nel sistema e direttamente aderenti alla Rosa Rossa o organizzazioni simili non sono molti e in genere intervengono solo in processi di rilevanza nazionale o internazionale. Quei pochi però si spartiscono la maggior parte dei processi importanti di rilevanza mediatica e spesso contattano la vittima offrendosi gratuitamente; in genere la vittima e i familiari non rifiutano, ritenendo in tal modo di essere tutelati e anzi ritenendosi pure fortunati.
In conclusione, gli avvocati in genere non hanno la preparazione per capire il fenomeno davanti a cui si trovano, il che avviene nel 90 per cento dei casi.
Se cominciano a capire vengono uccisi o estromessi dal processo.
E in genere i processi più importanti sono appannaggio di avvocati interni all'organizzazione.


6. I magistrati.
Quanto ai magistrati il problema è simile a quello degli avvocati; spesso (anzi, quasi sempre) non hanno alcuna competenza specifica, quindi in genere si fidano degli ufficiali di PG addetti al loro ufficio.
Un magistrato diventa tale solo perché ha superato un concorso in cui studia tre materie (diritto civile, penale e amministrativo), senza alcuna attinenza con la realtà, senza aver fatto alcun corso di investigazione, e senza sapere nulla di ritualità, organizzazioni esoteriche, ecc.
Dopodiché, dopo anni passati a occuparsi di traffico di droga, furtarelli e altri reati minori, incappa nel delitto rituale.
Ecco come possono prodursi aberrazioni come quelle capitate all’epoca del serial killer Minghella, uccisore di prostitute, che scriveva la parola “Rose” sulla schiena delle vittime. La parola fu attribuita ad un maldestro tentativo di attribuire i suoi delitti alle Brigate Rosse, e gli indizi di carattere rituale, in tal caso evidenti come un elefante in giardino, non sono stati visti da nessuno.
In linea di massima il 50 per cento dei magistrati non conosce neanche la differenza tra Massoneria e P2 e fa di tutta l’erba un fascio.
Il restante 40 per cento è in massoneria, quindi conosce la massoneria in sé, ma aderisce alle obbedienze regolari ed ufficiali, Grande Oriente d’Italia, Gran Loggia Regolare, Cavalieri di Malta, non conosce la differenza tra Massoneria e organizzazioni esoteriche, massoniche o paramassoniche; solo un 10 per cento (in genere i magistrati che rivestono le funzioni più importanti e che si occupano dei casi più importanti all’interno di un tribunale) conoscono perfettamente il sistema. Ma quelli, per ovvi motivi, non lo combatteranno mai e sono posti a dirigere procure e tribunali al fine di assicurare il corretto funzionamento (non della giustizia ma) del sistema.
I pochi magistrati che lavorano davvero per arrivare alla verità vengono destituiti, trasferiti, o uccisi.
Ma si tratta di eccezioni.
In linea di massima è l'ignoranza del magistrato che garantirà la totale impunità all'organizzazione.


7. Polizia e Carabinieri.
La maggior parte degli ufficiali di Polizia e Carabinieri hanno un grado di scolarità bassissimo. Mal pagati e mal addestrati, e mal aggiornati, non sanno nulla di simbolismo, sette segrete ecc. Basti pensare che a Firenze la sezione antisette ha un organico, se non ricordo male, di due persone o tre. Due persone che dovrebbero quindi indagare su tutto ciò che ruota attorno all’Ordo Templi Orientis, Golden Dawn, Rosa Rossa, ecc… Più o meno come combattere la CIA con una fionda.
In alcune città, come Viterbo, non esiste neanche un settore antisette perché, si sa, le sette non esistono, e se esistono sono innocue, come garantisce il famoso esoterista Massimo Introvigne (il quale ha la biblioteca esoterica più grande del mondo, 50.000 volumi; quindi, in sostanza, è uno che si occupa di un fenomeno che non esiste).
Ma l’ignoranza abissale in cui versano poliziotti e carabinieri è il miglior modo per renderli servi docili del sistema. I pochi che svolgono indagini serie dopo un po’ vengono allontanati, uccisi, o mobbizzati.
Ricordiamo ad esempio che i poliziotti che avevano indagato sulla banda della Uno Bianca, individuando i fratelli Savi, furono trasferiti per punizione.
A Viterbo un’ispettrice di polizia troppo ligia al dovere prima è stata trasferita varie volte; a Natale del 2007 spararono contro la vetrina del negozio del marito e poi ebbe un incidente in auto (malfunzionamento improvviso e inspiegabile dei freni) che le causò un forte stress e che l’ha messa definitivamente fuori gioco. Inutile dire che, anche tra i suoi colleghi, quelli che vedono la coincidenza tra i vari eventi sono pochissimi; molti, più che altro per ignoranza, non mettono in collegamento i fatti e ritengono il tutto frutto di una cattiva manutenzione dell’auto.
Il commissario Giuttari, che era andato un po’ troppo avanti nell’individuazione del livello ulteriore oltre a Pacciani, nei delitti del Mostro di Firenze, fu messo ad ammuffire al servizio ispettivo del ministero e anche condannato penalmente. E così via.
Infatti, anche se dopo qualche mese io e Solange ci accorgemmo che i tentati omicidi ai nostri danni erano effettuati con la complicità delle persone che dovevano in teoria garantire a Solange un servizio di “protezione”, abbiamo sempre pensato che abbiano fatto tutto ciò senza sapere assolutamente cosa facevano e perché.
Il funzionario Digos che dopo l’avvelenamento di Solange interrogò me e Solange cercando di costringerla a confessare che si era avvelenata o drogata da sola con la mia complicità per farsi pubblicità, era infatti talmente ignorante che non poteva certamente sapere cosa stava facendo. Ricordo che durante il colloquio, mentre spiegavo al funzionario che il padre di Solange era affiliato al Grande Oriente d’Italia, mi chiese “ma cos’è il Grande Oriente d’Italia?”. Era ovvio cioè che lui stava facendo il suo lavoro, su mandato di altri, ma era totalmente inconsapevole dell’ingranaggio in cui era inserito. E non riusciva neanche a capire di cosa parlassi.
Forse, chissà, pensava pure di fare una cosa utile alla nazione, cercando di smascherare due rompicoglioni come me e Solange, con manie di protagonismo.
Tempo fa ho parlato con un ufficiale dei carabinieri che mi spiegava come spesso ricevono ordini dall’alto per effettuare questo o quell’arresto anche in mancanza di prove concrete; e lo hanno allontanato dal servizio perché in genere cercava di opporsi.
Un altro funzionario di polizia, oggi in pensione, mi disse che gli era stato ordinato di fare una cosa illegale, per la quale poi fu addirittura additato su vari giornali come un depistatore. Da quel giorno è andato in pensione e si è ritirato a vita privata.
In altre parole, per polizia e carabinieri vale lo stesso meccanismo dei magistrati e degli avvocati. L'ignoranza totale sarà l'alleata più fedele dell'organizzazione.
Nell'eventualità che il poliziotto inizi a capire qualcosa, verrà trasferito o, in casi estremi, ucciso, facendo passare l'omicidio per un suicidio, ovviamente. La stupidità, la paura, l'ignoranza dei colleghi attorno a lui, farà sì che nell'ambiente non si avrà il minimo sospetto, e quelli che sospetteranno staranno zitti perché, in fondo, loro devono sempre mantenere la famiglia.


8. I criminologi.
I criminologi svolgono un ruolo chiave in tutta la vicenda.
La letteratura criminologica di base, ad esempio, non considera mai il problema delle sette. Le sette, se ci sono, sono composte da sbandati disorganizzati.
Le organizzazione esoteriche più diffuse non sono neanche menzionate.
In molti manuali di criminologia ho addirittura trovato scritto che veri e propri delitti satanici, nel mondo, non se ne sono mai registrati (ignorando quindi a bella posta anche casi famosi e ufficiali come quelli di Sharon Tate o delle Bestie di Satana).
Il delitto esoterico e/o rituale, invece, non è neanche menzionato. Come abbiamo già evidenziato in passato, il più diffuso manuale di classificazione dei crimini, ovverosia il manuale ufficiale di studio alla FBI, non conosce la voce “delitto rituale” (cioè non conosce il delitto più frequente nella nostra società) ma in compenso conosce quello dell’ “omicidio sessuale di donna anziana” (che è statisticamente rarissimo).
Basti pensare che nei delitti del Mostro di Firenze molti “esperti” continuano a proporre il profilo steso a suo tempo dall’FBI, che indicava in un serial killer isolato l’assassino, e ignorano invece il rapporto che stese Francesco Bruno (che parlava di delitti esoterici).
Se poi qualcuno fa cenno ad elementi esoterici, si prendono in considerazione falsi elementi; nei delitti del Mostro di Firenze si presero come indici di un delitto esoterico le famose piramidi tronche trovate sul luogo di alcuni delitti, e non tutti gli altri indizi più importanti (nomi delle vittime, date, posizione dei pianeti, nomi dei luoghi, ecc.)
Ad esempio nel delitto di Carmela Rea, se non vado errato, la zona dell'omicidio è vicina al Monte di Rosara e al Dito del Diavolo, mentre il luogo del ritrovamento credo si chiami "Montagna dei Fiori".
Nella vicenda Rea, uno dei soliti esperti intervistati, Massimo Picozzi, che finora è l'unico ad aver parlato di un delitto rituale, si è affrettato ad aggiungere "delitto rituale sì... ma di una sola persona".
Una sola persona così forte da poter rapire da sola Carmela, e poi riportarla da morta in un luogo distante 18 km da quello del ritrovamento. Un superman insomma.
In conclusione, tra i criminologi le persone davvero ignoranti sono poche, perché, dopo qualche anno, a meno che il soggetto non sia poco intelligente, comincia a capire che qualcosa non quadra nelle teorie criminologiche più diffuse, e inizia a farsi qualche domanda in più.
Ho parlato con un medico legale che reputo molto in gamba, il quale mi ha detto: "vedi Paolo, quando i giornali parlano di un suicidio con una busta di plastica in testa, è al 100 per cento un omicidio. Quando parlano di un suicidio e la persona tocca con le ginocchia per terra, è al 90 per cento un omicidio. Ma la maggior parte dei miei colleghi ha paura, oppure è stupida, e crede davvero alle stronzate che gli dicono di dire".


9. I mass media.
Il ruolo dei mess media è ovviamente il più delicato. Anche qui però la maggior parte dei giornalisti o cronisti sono inconsapevoli del reale sistema che c’è alla base.
La maggior parte dei giornali si limita a riportare pedissequamente le veline che le questure selezionano personalmente.
I pochi giornalisti che fanno realmente un’inchiesta dopo un po’ vengono minacciati, esclusi, allontanati.
La maggior parte dei giornalisti, quindi, scrive solo quel che i padroni impongono e non rischia più di tanto.
La prima volta che un giornalista si avvicina ad un delitto rituale, poi, non è mai in grado di riconoscerlo, e neanche le successive. Per farlo dovrebbe essere un esperto di esoterismo, cosa che la maggior parte dei giornalisti non è.
A meno che, ovviamente, non faccia parte del sistema, nel qual caso non c’è pericolo che scriva davvero la verità.
Le persone coinvolte a pieno titolo nell’organizzazione sono solo i giornalisti che si occupano in modo sistematico di tali delitti perché, a meno che non siano poco intelligenti, diventa impossibile dopo anni di giornalismo investigativo non fiutare una pista diversa e unitaria a fronte di una serie così incredibile di coincidenze in delitti troppo diversi da loro. Quelle sono spesso le menti dell’organizzazione stessa o comunque sono tra le persone con gli incarichi più importanti all’interno della Rosa Rossa.
Il risultato finale di questa combinazione tra ignoranza, paura e complicità, è che i mass media svolgono l'importantissimo ruolo di depistare l'opinione pubblica, focalizzando tutte le discussioni su punti secondari, inutili e depistanti delle vicende, e allontanarla dalle domande reali.

Nel caso di Carmela Rea, ad esempio, tra giornali e telegiornali ho ascoltato le seguenti bestialità:
- pista camorristica
- pista del serial killer o del movente passionale, entrambe basate sul nulla più assoluto quanto a indizi

Inoltre i giornali hanno dato i seguenti particolari:
- Carmela Rea aveva sofferto di depressione post partum (particolare assolutamente ininfluente per capire il movente di un omicidio);
- era una donna bellissima; particolare in teoria importante, ma solo dopo che si sia stabilito che effettivamente abbiamo a che fare con un serial killer, altrimenti il particolare è rilevante quanto il numero delle scarpe;
- in paese tutti la stimavano, si giravano a guardarla, e la coppia si voleva molto bene.

In compenso si trascurano i seguenti particolari:
- i numerosi indizi di ritualità;
- il fatto che il marito sia un militare e che il cadavere sia stato ritrovato in una zona militare; coincidenza non da poco, su cui si è soffermato solo il criminologo Francesco Bruno, sia pure con una teoria abbastanza inconsistente, all'acqua di rose (e il doppio senso non è casuale ma voluto);
- il fatto che il cadavere sia stato trovato in una zona militare; nessuno si domanda se non sia possibile, ad esempio, acquisire le riprese effettuate dai satelliti militari che monitorizzano continuamente le zone militari, per vedere se sia possibile individuare l'assassino (più probabilmente gli assassini) nel momento in cui ha lasciato il cadavere o addirittura nel momento in cui ha rapito la donna;
- il fatto che il rapimento sia avvenuto di giorno, e che il cadavere sia stato ritrovato a diversi km di distanza dal luogo del rapimento, indica la possibilità che l'operazione sia stata effettuata da un gruppo addestrato e organizzato, essendo quasi impossibile, e troppo rischioso, compiere tutto ad opera di una sola persona.

Ma questa ipotesi non è formulata da nessuno. Perché una simile ipotesi, se fosse formulata ufficialmente, porterebbe la gente a farsi delle domande troppo scomode e terribili. Quale gruppo ha un potere del genere, di poter uccidere impunemente facendola in barba alle autorità? E se questo gruppo fosse dietro anche ad altri omicidi?
Domande che nessuno si deve porre.
E a rincintrullire completamente lo spettatore, oltre alle cazzate dei soliti criminologi e alla musica da film (come se stessimo assistendo all'ultimo film di Dario Argento, e non ad una storia vera), oltre agli scenari da grande spettacolo tipico della TV, alle facce tristemente assorte dei conduttori che in realtà non vedono l'ora che l'organizzazione dalla quale dipendono, consapevolmente o no, regali loro un altro omicidio possibilmente più efferato possibile, contribuiscono le pubblicità e le demenzialità che intervallano questi programmi; Chi l'ha visto, Quarto Grado, Blu Notte, intervallano demenzialità criminologiche ad anteprime del prossimo Grande Fratello, pubblicità di prodotti di soia transgenici, dentifrici rigorosamente al fluoro, e magari anche un mutuo, rigorosamente Compass, ovviamente.
E lo spettatore, completamente rincoglionito, non si accorge che spesso i mandanti sono quelli che compaiono in TV e che il pubblico televisivo talvolta adora.


10. Conclusioni.
In conclusione, il sistema della Rosa Rossa e degli omicidi rituali si regge in piedi non perché la maggior parte dei poliziotti, giornalisti, magistrati, avvocati, sia effettivamente nella Rosa Rossa. Ma si regge per l'ignoranza, la stupidità, la paura, i soldi. Ciascuna delle persone chiamate a vario titolo in un'indagine, spesso conosce solo una minima parte della verità e non ha la minima idea del sistema in cui è inserito: qualcuno si limita ad insabbiare un particolare, qualcuno a taroccare una perizia, qualcun altro a seguire una pista anziché un'altra, senza però avere un quadro complessivo della vicenda.
L'ignoranza e la paura sono le due componenti più importanti del sistema in cui viviamo.

RICORDANDO PASOLINI



Il 5 marzo 2012 è stato il novantesimo anno dalla nascita di  Pier Paolo Pasolini. Forse  l'unico esempio  di  intellettuale veramente libero nel  nostro paese. Un uomo che, essendo stato un  profondo e attento  osservatore della nostra società, era 30 anni avanti a tutti. 
Vi proponiamo quest'articolo, reperito nella Rete,  riguardante il famoso poeta e regista.
L'augurio è che  finalmente  la verità  emerga:

Il delitto Pasolini. Siamo tutti in pericolo.

di Stefania Nicoletti




«Io sono un gattaccio torbido che una notte

morirà schiacciato in una strada sconosciuta…»

– Pier Paolo Pasolini, 1966 –


LA VICENDA

PREMESSA

«Io so i nomi dei responsabili delle stragi italiane». Così scriveva Pier Paolo Pasolini il 14 novembre 1974 sul Corriere della Sera, in un articolo che sarebbe stato poi ricordato come il “romanzo delle stragi”.
Un anno dopo, il 1 novembre 1975, rilascia un'intervista a Furio Colombo per La Stampa. Titolo dell'intervista, per espressa volontà di Pasolini: "Siamo tutti in pericolo".
Il giorno dopo, il 2 novembre 1975, giorno dei morti, il corpo del grande poeta viene trovato privo di vita all'Idroscalo di Ostia.
Pino Pelosi detto la Rana, un “ragazzo di vita” romano di 17 anni, fermato dai carabinieri a un posto di blocco, confessa immediatamente l’omicidio.
Pelosi racconta di come Pasolini quella sera l’ha convinto a “farsi un giro” sulla sua auto, un’Alfa GT. Arrivati all’Idroscalo, Pasolini vuole un rapporto sessuale ma Pelosi si rifiuta. Ne nasce una lite che presto sfocia in una rissa di inaudita violenza, che si chiude con la morte del poeta. Picchiato a sangue, massacrato, e schiacciato con l’auto durante la fuga di Pelosi.
Un delitto maturato nell’ambiente degradato delle borgate romane. E un delitto omosessuale. Niente di più facile.
Se non fosse che tante, troppe cose non quadrano nella ricostruzione giudiziaria che ne è stata fatta. Tante, troppe cose non quadrano nelle ore successive al ritrovamento del corpo, nelle indagini condotte dalla squadra mobile, negli interrogatori dello stesso reo confesso.

Procediamo per punti.


1. I CLAMOROSI ERRORI  DELLA POLIZIA.
Una serie di errori ha intralciato il normale svolgimento delle indagini, soprattutto nelle prime (e fondamentali) 48 ore successive al delitto. Solo una coincidenza fortunata, in un posto di blocco dei carabinieri sul lungomare di Ostia, ha permesso di mettere le mani su Pelosi.
La polizia, giunta all’Idroscalo di Ostia alle 6.30 di domenica mattina 2 novembre, trova una piccola folla intorno al corpo di Pasolini: folla che gli agenti non pensano minimamente di allontanare. La polizia non si cura di recintare il luogo del delitto e impedire così la cancellazione di tracce importanti. E infatti, non essendo stata circondata la zona, tutte le eventuali tracce sono andate perdute dal passaggio di auto e pedoni diretti alle baracche o all’adiacente campo di calcio, oppure da semplici curiosi.
Nel campo di calcio lì vicino, inoltre, dei ragazzi giocano a pallone e il pallone ogni tanto esce dal rettangolo di gioco, finendo proprio vicino al cadavere di Pasolini.
Nessuno ha pensato di tracciare i punti esatti dei vari ritrovamenti.
Non si disturbano neanche di notare che sul sedile posteriore dell’Alfa GT di Pasolini c’è, bene in vista, un golf verde macchiato di sangue. E che lontano dal cadavere, tra le immondizie, c’è una camicia bianca, anch’essa macchiata di sangue. Se ne accorgeranno tre giorni dopo.
Inoltre fino a giovedì mattina l’Alfa GT è rimasta sotto una tettoia nel cortile di un garage dove i carabinieri depositano le auto sequestrate. L’auto è aperta e senza sorveglianza. Chiunque avrebbe potuto mettere o togliere indizi, lasciare o cancellare impronte.
La polizia torna sul luogo del delitto solo nella tarda mattinata di lunedì 3 per tentare una ricostruzione del caso, ma senza nessuna misura precisa, e con le tracce ormai inesistenti.
Solo da giovedì gli investigatori iniziano a interrogare gli abitanti delle baracche e i frequentatori della Stazione Termini (luogo in cui Pelosi ha raccontato di essere stato “adescato” da Pasolini).
Infine – e questo ha davvero dell’incredibile – sul luogo del delitto non è mai stato convocato il medico legale. E il cadavere venne lavato prima di completare gli esami della scientifica.
È chiaro che polizia e carabinieri, certi di poter archiviare il caso come omicidio omosessuale, oltretutto con l’assassino reo confesso già in carcere, hanno ritenuto superfluo ogni accertamento sul cadavere che poteva invece servire per le successive indagini.
È possibile che la polizia abbia commesso così tanti e clamorosi errori tutti insieme? È possibile che vengano trascurate le più elementari procedure investigative per un omicidio di tale portata?
Dopo questa pessima conduzione delle indagini, ci si aspetterebbe che il massimo responsabile venisse quantomeno sospeso dall’incarico. Invece il dottor Ferdinando Masone, capo della squadra mobile di Roma durante le indagini, ha fatto carriera: è diventato questore di Palermo e poi di Roma, e in seguito addirittura Capo della Polizia. Ruolo che ha ricoperto fino al 2000, quando è stato “promosso” ulteriormente, diventando segretario generale del CESIS: il Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza, cioè l’ente che coordina l’attività dei servizi segreti (SISMI e SISDE) in nome del presidente del consiglio.

2. LE BUGIE DI PELOSI.
Gli interrogatori di Pino la Rana, a cominciare dal primo, la notte stessa del 2 novembre, sono farciti di bugie, peraltro mal raccontate. Pelosi sembra recitare una lezione imparata male.
Innanzitutto, il mistero dell’anello. Pelosi racconta agli inquirenti di aver perso, durante la colluttazione, un anello d’oro con una pietra rossa, due aquile e la scritta “United States Army”. Verrà poi accertato che quell’anello non poteva averlo perso in quel modo, ma poteva solo averlo lasciato di proposito sulla scena del delitto. Perché? Per lanciare un segnale a qualcuno? Per “farsi incastrare”? O perché qualcuno per lui aveva deciso di usare Pelosi prima come esca e poi come capro espiatorio, incastrandolo con l’anello?
Pasolini fu colpito violentemente non con un oggetto solo, ma con due bastoni, uno più lungo e uno più corto, e con due tavolette di legno. Pelosi descrive la colluttazione come una scena violentissima, in cui la Rana, dopo una strenua lotta all’ultimo sangue, ha avuto la meglio su Pasolini. Risulta però difficile credere che un paletto di legno marcio possa provocare simili ferite e contusioni. Soprattutto risulta difficile capire come un ragazzo di 17 anni, magro e di corporatura esile, abbia potuto, da solo, avere la meglio su un uomo alto, atletico, sportivo, esperto di arti marziali com’era Pasolini. Anche perché il Pelosi non aveva sul corpo nessuna ferita di rilievo, e i suoi indumenti non presentavano alcuna traccia di sangue.
Esame approfonditi di tutti i dati obiettivi (sopralluogo, interrogatori di Pelosi, reperti, bastone, tavola, vesti, lesioni di Pasolini), da una parte smentiscono il racconto di Pelosi sulla dinamica di tutta l’aggressione, e dall’altra inducono ad avanzare con fondatezza l’ipotesi che Pasolini sia stato vittima dell’aggressione di più persone. Pelosi non può aver fatto tutto da solo.

3. LA RAPIDITA’ DEL PROCESSO.
Il caso Pasolini si risolve in pochissimi mesi. La sentenza di primo grado viene proclamata il 26 aprile 1976. Pino Pelosi (difeso dall’avvocato Rocco Mangia, lo stesso che ha difeso i fascisti che ammazzarono Rosaria Lopez nel massacro del Circeo) viene dichiarato colpevole di omicidio volontario in concorso con ignoti e condannato a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni di reclusione. Ma se il Tribunale dei Minori, presieduto dal giudice Alfredo Carlo Moro (fratello del presidente della Dc Aldo Moro), ha contemplato il “concorso di ignoti”, nella sentenza di appello tale ipotesi verrà scartata e di fatto cancellata definitivamente dalla Cassazione nel 1979.
In ogni caso, l’impressione è che non solo gli inquirenti avessero fretta di chiudere il caso, ma anche i giudici avessero la stessa preoccupazione di chiudere in fretta il processo.
Un processo che in realtà non vedeva imputato (solo) Pino Pelosi. Ma anche (e soprattutto) Pasolini stesso. L’obiettivo del processo è uno solo: fare di Pasolini un mostro. Un omosessuale pervertito che corrompe e violenta i ragazzini. E per questo è stato usato Pelosi. Che però pagherà caro. Pagherà per delle colpe che non erano sue o non lo erano del tutto. Sarà il vero capro espiatorio utilizzato da dei mandanti (e manovratori) rimasti, come sempre, ignoti e impuniti.

4. LA RITRATTAZIONE DI PELOSI.
Il 7 maggio 2005, però, c’è il colpo di scena: Pino Pelosi fa una rivelazione choc. Nel corso della trasmissione televisiva “Ombre sul giallo”, confessa di non essere stato solo quella sera del 2 novembre 1975, come invece aveva sostenuto fin dal primo interrogatorio e sempre ribadito. Trent’anni dopo, invece, rivela di non essere stato lui a uccidere Pasolini, ma tre uomini che parlavano con accento siciliano o calabrese.
Perché dunque all’epoca ha mentito e si è accollato colpe che non gli appartenevano? Perché ha aspettato trent’anni e non ha parlato prima? «Ero un ragazzino – dirà Pelosi – avevo 17 anni. Avevo paura, perché quelli che hanno ucciso Pasolini mi hanno picchiato e hanno minacciato di morte me e la mia famiglia se avessi raccontato la verità». E allora perché raccontarla adesso la verità? Non ha più paura, Pino la Rana, di fare la stessa fine del poeta? «Sono passati trent’anni, quelli che mi hanno minacciato e che hanno ammazzato Pasolini, saranno morti o comunque vecchi». Possibile. Pelosi racconta infatti che all’epoca i tre uomini che l’hanno aggredito e minacciato erano sui quarant’anni. Ma si tratta solo degli esecutori materiali del delitto. C’è un livello superiore, quello dei mandanti, che non si fa certo scrupoli a eliminare un testimone scomodo che, con un po’ di ingenuità, crede di essere al sicuro perché “ora gli assassini saranno morti o vecchi”. L’impressione è che se non è ancora stato fatto fuori non è per i motivi che indica Pelosi, né perché siano diventati improvvisamente “buoni”, ma più probabilmente perché in questo momento Pelosi serve vivo. E perché ucciderlo significherebbe esporsi troppo. Perché farlo, dal momento che l’inchiesta, riaperta dopo le dichiarazioni di Pelosi nel 2005, è stata ancora una volta archiviata?



Molte ipotesi sono state avanzate sui mandanti dell’omicidio di Pasolini. Da alcuni è stato ritenuto un omicidio politico. Ma è evidente che così non è. Le motivazioni vere sono più complesse e pericolose: i mandanti stanno in alto, molto in alto. E stanno in un romanzo scritto da Pasolini stesso. A questo punto occorre fare un passo indietro di 36 anni.


I POSSIBILI MOVENTI. PETROLIO, IL “ROMANZO DELLE STRAGI”: IL CASO MATTEI E LA PISTA CEFIS

Nel 1972 Pasolini inizia a scrivere quello che può a tutti gli effetti essere considerato il suo vero “romanzo delle stragi”: Petrolio, così si chiamerà il suo romanzo rimasto incompiuto e pubblicato postumo. E forse è proprio in Petrolio che si trova la chiave della morte del suo autore, legata a un altro mistero italiano: la “strana” morte di Enrico Mattei. Pasolini era venuto in possesso di informazioni scottanti, riguardanti il coinvolgimento di Eugenio Cefis nel caso Mattei.
In Petrolio descrive la storia dell’Eni e in particolare quella del suo presidente Cefis. Lo fa con un espediente letterario: il personaggio inventato di Troya, ricalcato sulla figura di Cefis.

1. L’INDAGINE DEL GIUDICE CALIA.
Secondo il sostituto procuratore di Pavia, Vincenzo Calia, che ha indagato sul caso Mattei (depositando una sentenza di archiviazione nel 2003), le carte di Petrolio appaiono come fonti credibili di una storia vera del potere economico-politico e dei suoi legami con le varie fasi dello stragismo italiano fascista e di stato. In particolare, nel 2002 Calia ha acquisito agli atti tutti i vari frammenti sull’“Impero dei Troya”, da pagina 94 a pagina 118 di Petrolio, che dall’omicidio ipotizzato di Mattei guida al regime di Eugenio Cefis, ai “fondi neri”, alle stragi dal 1969 al 1980 (tra le altre cose, vi è anche una “profezia” della strage della stazione di Bologna).
Il giudice Calia ha acquisito agli atti anche il mancante Lampi sull’Eni, di cui ci rimane soltanto il titolo (sotto l’Appunto 21), essendo l’intero capitolo “misteriosamente” scomparso nel nulla, come altre 200 pagine del romanzo. Non è una mancanza di poco conto, se si considera che in Lampi sull’Eni doveva presumibilmente comparire il grosso della vicenda legata all’economia petrolifera italiana.
Negli Appunti 20-30, Storia del problema del petrolio e retroscena, Pasolini arriva a fare direttamente i nomi di Mattei e di Cefis. Vi è inoltre un appunto del ’74 in cui Pasolini scrive che «in questo preciso momento storico, Troya (Cefis, ndr) sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti). Egli con la cricca politica ha bisogno di anticomunismo».

2. LA FONTE DI PETROLIO.  Il giudice Calia ha scoperto un libro, che è la fonte di Pasolini, pubblicato nel 1972 da una strana agenzia giornalistica (Ami), a cura di un fittizio Giorgio Steimetz: Questo è Cefis. (L’altra faccia dell’onorato presidente). Si tratta di un pamphlet sulla vita, sul carattere e sulla carriera del successore di Mattei alla guida dell’Eni. Racconta alcuni passaggi biografici, da quando Cefis fu partigiano in Ossola (con alcuni risvolti poco chiari) alla rottura con Mattei nel 1962, mai perfettamente spiegata; dal rientro all’Eni al salto in Montedison. Pasolini ne riporta interi brani, ne fa la parafrasi, elenca le stesse società (petrolifere, metanifere, finanziarie, del legno, della plastica, della pubblicità e della comunicazione) più o meno collegate a Cefis, vi assegna acronimi o sigle d’invenzione.

3. LO PSEUDONIMO STEIMETZ E L’AGENZIA AMI.
Non è facile individuare chi si celi dietro lo pseudonimo di Giorgio Steimetz, ma di certo si tratta di una persona ben inserita negli affari interni dell’Eni. Il suo libro è immediatamente sparito dalla circolazione e oggi non compare in nessuna biblioteca nazionale e in nessuna bibliografia.
Scrive lo stesso fantomatico Steimetz: «Ridurre al silenzio, e con argomenti persuasivi, è uno dei tratti di ingegno più rimarchevoli del presidente dell’Eni». E Pasolini in Petrolio scriverà: «Non amava nessuna forma di pubblicità. Egli doveva, per la stessa natura del suo potere, restare in ombra. E infatti ci restava. Ogni possibile “fonte” d’informazione su di lui, era misteriosamente quanto sistematicamente fatta sparire».
Dietro l’Ami, che pubblicò solo quel titolo, c’era il senatore democristiano Graziano Verzotto, capo delle pubbliche relazioni Eni in Sicilia e segretario regionale della Dc (corrente Rumor) ai tempi di Mattei, di cui fu amico personale. Verzotto ha rilasciato a Calia una lunga deposizione, in cui per spiegare l’“incidente” aereo dell’ottobre ’62 esclude l’ipotesi delle Sette Sorelle, quella dei servizi segreti francesi e la pista algerina, arrivando ad asserire che colui al quale la morte di Mattei ha giovato di più, è il successore di Mattei stesso: Eugenio Cefis.


Pasolini era dunque venuto in possesso di documenti che provavano il coinvolgimento di Cefis nel caso Mattei e, prima di essere barbaramente ucciso, stava per pubblicare il tutto in un romanzo choc. Ma prima di lui un altro giornalista che aveva iniziato a indagare sulla morte di Mattei fece una brutta fine. Si tratta di Mauro De Mauro, che stava collaborando con il regista Francesco Rosi per il film Il caso Mattei. De Mauro venne eliminato quando ormai aveva scoperto la verità. Poco prima dell’incontro previsto con Rosi, infatti, il giornalista scomparve nel nulla.

Il lavoro di Calia è agli atti. Il mandante possibile della morte di Enrico Mattei è in Petrolio. Probabilmente anche quello dell’uccisione di De Mauro e di Pasolini.


Spesso, troppo spesso, si è detto che Pasolini è stato ucciso perché era un intellettuale “scomodo”. Ma Pasolini non era “scomodo” per via delle sue critiche al sistema, ma per le sue accuse. Fondate, precise, documentate da prove reali e da documenti riservatissimi e “incendiari” di cui egli era venuto in possesso.
Come scrisse sul Corriere un anno prima di morire, egli sapeva. Non solo perché da poeta intuiva e da intellettuale osservava la realtà come pochi sono in grado di fare. Ma perché sapeva davvero. Sapeva troppe cose. E ciò che sapeva poteva far tremare il Potere.

Pier Paolo Pasolini è stato ucciso per questo: perché probabilmente sapeva la verità sulla morte di Enrico Mattei. Sapeva chi erano i mandanti di quello strano “incidente” aereo, che in seguito si rivelò non essere stato un incidente, ma un abbattimento in volo: venne certificato infatti che nell’aereo fu inserita una bomba stimata in 150 grammi di tritolo posta dietro al cruscotto, che si sarebbe attivata durante la fase iniziale di atterraggio, forse dall’apertura del carrello. Già all’epoca dei fatti, alcuni testimoni dichiararono di aver visto l’aereo esplodere in volo. Il testimone principale, il contadino Mario Ronchi, rilasciò alcune interviste agli organi di stampa e alla RAI (che ne censurò le affermazioni), ma in seguito ritrattò la sua testimonianza. Forse qualcuno aveva pagato il suo silenzio.

Il sostituto procuratore Calia si spinse ad affermare che «l’esecuzione dell’attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato». Il che porterebbe ancora una volta a ritenere Eugenio Cefis come il probabile mandante. Probabilmente questa era una delle scomode verità di cui Pasolini era venuto a conoscenza.