venerdì 31 maggio 2013

Debora, l’infermiera dell’amore: “Aiuto i disabili a fare sesso”

debora
VUOLE diventare la prima assistente sessuale per persone disabili riconosciuta nel nostro Paese. Romana, 31 anni, Debora De Angelis sa che non sarà facile, perché per il legislatore questa professione cha in Italia non esiste, ma altrove sì, si muove in una confusa nebulosa tra assistenza e prostituzione. Debora, esce allo scoperto, ci mette la faccia con coraggio, senza falsi pudori o ipocrisie e racconta la sua esperienza di lovegiver.
«TUTTO ebbe inizio tre anni fa, quando lessi la storia del fisico nucleare Fulvio Frisone, una delle menti più brillanti d’Italia, e di sua madre, Lucia. La donna si rese conto di quanto l’impossibilità di esprimersi sessualmente, per suo figlio, affetto da tetraparesi spastica, fosse un problema a cui trovare soluzione a ogni costo».
E cosa accadde a Frisone?
«La signora Lucia lottò per garantire a suo figlio l’aiuto di donne, prostitute, che frequentavano la sua casa e alleviavano quella che evidentemente per Fulvio era una terribile sofferenza. Subito mi chiesi come ci si potesse sentire all’interno di un corpo che ha fortissimi impulsi sessuali, se non si potessero usare nemmeno le mani per alleviare quella tensione. Immediatamente dopo, però, mi convinsi che avrei saputo aiutare quella persona».
Sembra il racconto mistico di una folgorazione.
«In quel periodo della mia vita, incerta se terminare o meno l’Università, a un passo dalla laurea in Scienze della comunicazione con indirizzo giornalistico, mi guadagnavo da vivere assistendo gli anziani. Era un lavoro cercato e voluto, mi piaceva sapere di essere di stimolo per le loro menti abbandonate a uno stato vegetativo da parenti iperindaffarati o badanti con difficoltà di linguaggio. Fu in quel periodo che si sviluppò in me la dote che oggi mi porta a sostenere di poter interagire sessualmente con una persona disabile, allo scopo di aiutarla a sentirsi bene nel proprio corpo: l’empatia».
Quando fu ‘la prima volta’?
«Di lì a poco incontrai un ragazzo disabile, con cui condividevo la passione politica. Anche lui era affetto da tetraparesi, come Frisone. All’epoca non era tanto il fatto che un disabile non potesse fare l’amore a crucciarmi, perché pure a molti normodotati capita di non essere fortunati nell’ambito intimo e relazionale. L’autoerotismo, o meglio la sua impossibilità, era ciò che mi stonava. Presumevo che per un uomo gli impulsi sessuali fossero anche più pressanti e frequenti, rispetto a una donna, volevo sapere dal mio amico se la disabilità, per caso, li attenuasse».
E quale fu la sua risposta?
«Senza molta sorpresa, mi rivelò che non li attenuava affatto. Semmai, l’impossibilità di esprimerli, li amplificava fino a farli diventare una specie di pensiero fisso, un’ossessione».
Come decise di mettersi alla prova quale lovegiver?
«Gli proposi di approfittare della fortunata coincidenza: lui non aveva mai provato un approccio che lo soddisfacesse, io avevo una convinzione, quella che sarei stata in grado di aiutare una persona, indipendentemente da un legame affettivo o dal suo aspetto fisico, a trovare un benessere sessuale. Potevamo provare e vedere che cosa sarebbe successo».
E fu davvero così?
«Quella situazione tra noi durò per qualche tempo, poi finì per motivi del tutto personali. Mi lasciò la conferma di saper assistere sessualmente una persona disabile, ma anche che l’approccio in amicizia, senza regole, accordi a monte, può risultare dannoso».
Difficile rimuovere le scorie che le lasciò questa prima esprienza?
«Prima di incontrare altre persone trascorsero quasi due anni, durante i quali, però sono enormemente maturata nel modo di approcciarmi a questa tematica. Già da tempo lavoravo come modella di nudo per fotoamatori, un passaggio estremamente utile per raggiungere la definitiva consapevolezza e padronanza corporea. Nel tempo conobbi altri due ragazzi disabili con i quali ho avuto un rapporto molto soddisfacente».
Perché chiamarla assistente sessuale o lovegiver: non è in fondo una prostituta, magari un po’ più sensibile della media?
«Una lovegiver è qualcuno di completamente a posto col proprio corpo e con la propria sessualità, dotato di grande empatia, che può aiutare a risolvere problematiche legate alla sessualità senza alimentarle ai fini di preservare una clientela. Tutto questo si raggiunge in parte con una naturale inclinazione, in parte attraverso una formazione adeguata con psicologi e sessuologi. È inutile confrontare assistenza e prostituzione; appena si approfondisce la questione, si capisce quanto siano diversi questi due approcci alla sessualità».

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