mercoledì 30 aprile 2014

Pio La Torre, l’uomo che fece tremare i poteri deviati

Pio La Torrejpeg-G.C.- Erano le 9.20 del 30 aprile 1982. 
Il segretario siciliano del Pci,Pio La Torre, assieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo, si trovava in auto, diretto verso la sede del partito. 
Era un periodo particolare, a Palermo. L'ala stragista di Cosa Nostra, guidata dai corleonesi, aveva dimostrato di non accettare alcun tipo di ostruzionismo: chi si poneva contro, semplicemente, moriva. 
Così era andata con Boris Giuliano, Cesare Terranova, Piersanti Mattarella, Emanuele Basile,Gaetano Costa, Sebastiano Bosio, Pietro Pisa. Tutti individui con la schiena dritta, che si erano opposti alla morsa mafiosa che strangolava la Sicilia. 
Pio La Torre non era diverso, e lo sapeva: era perfettamente consapevole di essere divenuto un ostacolo per Cosa Nostra, complice il suo impegno nell'antimafia, e sapeva di essere un bersaglio facile, abbandonato dalle Istituzioni.
Alla luce di ciò, poco tempo prima di morire aveva richiesto il porto d'armi, per difendersi.
Quando però, quel mattino, una vettura e una motocicletta accerchiarono l'auto in cui si trovava con Di Salvo, esser armati non servì a nulla: in pochi attimi, i due furono raggiunti da una pioggia di proiettili che non lasciò loro scampo, un avvertimento anche a coloro che avessero voluto mai raccoglierne l'eredità nella lotta alla criminalità organizzata. 
Il delitto venne inizialmente rivendicato dai Gruppi proletari organizzati. Ci volle del tempo prima che la vera natura dell'agguato emergesse, grazie alle rivelazioni dei pentiti Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Gaspare Mutolo e Pino Marchese: furono loro a indicare il duplice omicidio come delitto di mafia. La Torre era stato ammazzato perché si era opposto al sistema di Cosa Nostra, aveva tentato di bloccare i corleonesi, osando persino presentare un disegno di legge che, per la prima volta, prevedeva il reato di "associazione mafiosa" e la confisca dei patrimoni mafiosi. 
Il suo impegno contro la mafia era iniziato già a Roma, nel 1969, quando si allontanò dalla sua Sicilia per ricoprire la carica di deputato per tre legislature. Da quegli scranni, tentò di portare alla luce le collusioni tra mafia e politica che nell'isola si configuravano come una consuetudine. Nel '76 accusò, in qualità di membro della Commissione Antimafia, i democristiani Salvo Lima e Vito Ciancimino per i loro legami con Cosa Nostra: fu probabilmente questo a condannarlo a morte. 
Nel 1981, un anno prima di morire, La Torre si pose poi anche contro gli americani: che i servizi segreti Usa fossero stati già in passato scesi ad accordi con esponenti di Cosa Nostra non era certo un segreto, neanche all'epoca. L'uomo si era configurato un ostacolo anche per loro, opponendosi duramente all'installazione di missili Cruise presso la base di Cosimo. 
Una battaglia che culminò il 4 aprile del 1982, 26 giorni prima di morire, con la manifestazione dei centomila a Cosimo: La Torre era riuscito a smuovere le coscienze del popolo e si era rivolto a tutte le bandiere politiche, pur di impedire che la Sicilia diventasse ulteriormente dominio dei servizi segreti americani. 
Gli stessi che lo tennero a lungo sotto osservazione: La Torre venne considerato un soggetto "pericoloso", un informatore del Kgb e amico dei cinesi. L'uomo che aveva svelato la presenza di una struttura Stay behind,Gladio, sull'isola. Un nemico.
Ce n'era abbastanza per eliminarlo, ma non per questo La Torre si fermò. In quel periodo si schierò anche contro la "nuova" mafia, quella che trovava nella speculazione edilizia e negli appalti truccati le nuove forme di guadagno. Soprattutto, nel traffico di droga, che si vedeva compiuto grazie a connivenze e contatti tra le famiglie mafiose siciliane e i "cugini" d'Oltreoceano, su cui indagò anche Giovanni Falcone. 
Aveva, di fatto, scoperto quello che lo stesso giudice ucciso a Capaci definì successivamente "il gioco grande": intrecci tra mafia, servizi segreti italiani e americani e massoneria. Perché anche di quella s'interessò: non mancò infatti di denunciare pubblicamente l’uccisione di Giorgio Ambrosoli e la presenza a Palermo di Sindona nei giorni del suo finto sequestro. 
Un uomo che, da solo, stava contribuendo a smantellare un immenso e occulto scenario di interessi e connivenze: un uomo, per i poteri deviati, pericolosissimo, perché incorruttibile e onesto. 

http://www.articolotre.com/2014/04/pio-la-torre-luomo-che-fece-paura-ai-poteri-deviati/

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